La riforma fiscale secondo il programma del Governo Draghi
Semplificazione, progressività, approccio di sistema, ricorso ad esperti competenti: le indicazioni sul programma di Governo in materia di riforma fiscale.
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La riforma del Fisco è uno degli argomenti su cui il capo del Governo, Mario Draghi, ha fornito più elementi nel discorso programmatico per ottenere la fiducia del Parlamento: il premier ha chiaramente parlato di IRPEF più progressiva e ha citato esempi specifici di revisione di aliquote e scaglioni (come quello danese). Vediamo dunque con precisione come si delinea la prossima riforma fiscale in base a queste indicazioni, e che in realtà è già prevista dalla Legge di Bilancio 2021, a partire dal 2022. Dunque, deve necessariamente entrare nel programma del Governo Draghi.
In Manovra, in realtà, per portare a termine la riforma fiscale ci sono solo (alcune) risorse: al netto della somma destinata all’introduzione dell’assegno unico per le famiglie con figli, vengono previsti dai 2 ai 3 miliardi nel 2022 e da 1 a 2 miliardi a partire dal 2023. Prima ancor delle risorse, però, c’è da definire un modello operativo, ancor prima degli obiettivi in dettaglio. Draghi ha affrontato il tema con una considerazione precisa:
il sistema tributario è un meccanismo complesso, le cui parti si legano una all’altra. Non è una buona idea cambiare le tasse una alla volta.
Una sorta di critica, dunque, nei confronti di misure una tantum o solo parziali, che sembra riferirsi a diversi interventi operati negli ultimi anni, ma che non entra nello specifico dei diversi provvedimenti quanto piuttosto riguarda la decisione di introdurre norme non coordinate in un unico sistema: flat tax, regime forfettario, tassazione con cedolare secca, attuale sistema di detrazioni Irpef, solo per citare diversi provvedimenti, presi da diversi esecutivi.
In ogni caso, aggiunge Draghi, «un intervento complessivo rende anche più difficile che specifici gruppi di pressione riescano a spingere il governo ad adottare misure scritte per avvantaggiarli». Questa l’impostazione proposta. Qual è dunque la ratio che deve essere alla base della riforma fiscale?
«Una revisione profonda dell’Irpef con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività».
Riforma Flat tax
L’indicazione è precisa: la riforma parte da una revisione dell’IRPEF che semplifichi la attuali regole e riduca le tasse nel rispetto del principio della progressività. Tradotto: abbandonare la strada di provvedimenti coma la flat tax o il regime dei minimi e forfettario (che alla fine si sono sovrapposti) se la semplificazione non comporta anche progressività. Fra l’altro, per come attualmente è formulata, la flat tax rivolta a una specifica tipologia di contribuenti (i lavoratori autonomi), creando quindi un’ulteriore dicotomia che probabilmente non risponde al principio della razionalizzazione.
Riforma IRPEF
Le parole di Draghi sembrano orientate a ipotesi di revisione delle aliquote IRPEF e di revisione delle tax expenditure (ossia le detrazioni fiscali, che sono numerosissime e quindi non contribuiscono né a semplificare né a razionalizzare il sistema). Il riferimento all’IRPEF progressiva sembra anche allontanarsi dalla strada spesso suggerita dalla commissione UE, che spinge verso meccanismi di tassazione indiretta (come l’IVA). Ma qui i condizionali sono d’obbligo, trattandosi di una riflessione generale che non tocca in realtà temi specifici.
Modelli di metodo
Draghi fornisce indicazioni di metodo, ma che si riferiscono anche a precise best practice che possono rappresentare anche un’indicazione.
La Danimarca, nel 2008, nominò una Commissione di esperti in materia fiscale. La Commissione incontrò i partiti politici e le parti sociali e solo dopo presentò la sua relazione al Parlamento. Il progetto prevedeva un taglio della pressione fiscale pari a 2 punti di PIL. L’aliquota marginale massima dell’imposta sul reddito veniva ridotta, mentre la soglia di esenzione veniva alzata.
Il riferimento è alla riforma danese del fisco operata nel 2008, che sostanzialmente ha cambiato aliquote e scaglioni di reddito alleggerendo il carico fiscale sul ceto medio e alzando la no tax area.
Come detto, il modello danese viene proposto come metodo da seguire, ovvero come esperienza di un altro paese esemplificativa del fatto «che le riforme della tassazione dovrebbero essere affidate a esperti, che conoscono bene cosa può accadere se si cambia un’imposta». E’ importante sottolinearlo, perché è il contesto corretto in cui si inserisce il riferimento, proposto come esempio di metodo, non come modello fiscale da seguire.
Dopodiché, si può sottolineare che forse non è un caso se Draghi ha scelto – fra i molti esempi internazionali disponibili – quello di una riforma che ha tagliato le tasse di circa due punti di PIL distribuendole meglio. Si può quindi ritenere che abbia fornito anche su questo fronte un’indicazione. Il premier ha anche sottolineato che:
un metodo simile fu seguito in Italia all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso quando il governo affidò ad una commissione di esperti, fra i quali Bruno Visentini e Cesare Cosciani, il compito di ridisegnare il nostro sistema tributario, che non era stato più modificato dai tempi della riforma Vanoni del 1951. Si deve a quella commissione l’introduzione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e del sostituto d’imposta per i redditi da lavoro dipendente.
Anche qui l’esempio è di metodo, e riguarda la decisione di affidare una fase preparatoria della riforma a un team di esperti.
Per riassumere
Le indicazioni contenute nel programma di governo, in pratica, indicano con chiarezza una serie di punti su cui Draghi mira a far poggiare la “sua” riforma fiscale: il metodo della competenza, la semplificazione e la progressività del sistema fiscale, la necessità di una riforma complessiva che analizzi l’impatto di tutte le variabili, e che risponda a interessi generali (del Paese) e non lobbistici.
Sottolineiamo infine che in corso ci sono le audizioni, sulle riforma fiscale, presso le commissioni Finanze di Camera e Senato, che raccolgono il parere di esperti fiscali e parti sociali. Al momento, sono stati sentiti Agenzia delle Entrate, Banca d’Italia, Istat, Corte dei Conti, Ufficio parlamentare dei Bilancio, diversi esperti indipendenti, i rappresentanti delle imprese e dei sindacati. Tutti punti di vista di cui si terrà conto per l’avvio dei lavori, ma con il filo conduttore dei pilastri sopra indicati.
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