Medicina, verso l'abolizione del test d'ingresso
I punti chiave della nuova proposta Per avere più medici non si deve abolire il numero programmato, ma semmai il test d'ingresso
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È la linea del disegno di legge appena depositato in commissione cultura alla Camera da Manuel Tuzi, portavoce M5S, volto ad abrogare la legge 264/99 istitutiva del numero programmato, ma non il numero programmato né il test, che sarebbe solo posticipato: non più a fine maturità ma tra il 1° e il 2° anno di università. Il bersaglio, come vedremo non solo di Tuzi ma anche degli Ordini, è il test d’ingresso attuale, al centro di crescenti contenziosi giudiziari per presunte irregolarità. I punti chiave della proposta sono i seguenti:
- campagne di orientamento attitudinale a 16 anni per tutti gli studenti dei licei e degli istituti tecnici, un punto condiviso dalla Fnomceo;
- ingresso possibile a Medicina per tutti quelli che si iscrivono, questo meno condiviso…;
- prova di verifica al termine del 1° anno unica per tutta Italia: il bando sarebbe pubblicato 60 giorni prima della prova e i giudizi si avrebbero in 15 giorni;
- gli idonei non passerebbero tutti al 2° anno, alcuni dovrebbero ripiegare su altri corsi, ma non si esclude di finanziare posti aggiuntivi con donazioni tipo l’8 per mille sull’aliquota Irpef;
- i non idonei avrebbero altre due chance per superare la prova e, fallita la terza, potrebbero mettere a frutto i crediti capitalizzati iscrivendosi a corsi che utilizzano materie comuni con medicina.
A Ferrara ad esempio chi non superi, a regime, con la media del 27 nei primi 3 mesi Biologia, Fisica medica, Istologia ed Anatomia uno, in base all’esperimento concordato dal Rettore e da Lorenzo Fioramonti (allora sottosegretario oggi ministro dell’Istruzione) potrà iscriversi a Scienze Motorie, Biotecnologie Mediche, o Scienze Biologiche. A far pendere la bilancia dalla parte dell’abrogazione della legge 264/99 istitutiva del numero chiuso sarebbe stata l’ennesima dimostrazione di falle nel test d’ingresso, attestate dalle denunce degli studenti (cellulari nascosti nelle aule del test, picchi di ricerche sui motori informatici la notte prima su termini e personaggi poi ritrovati nei quiz) e dalle pronunce del Consiglio di Stato sui ricorsi dei non ammessi nel 2018 e 2017. I giudici, sottolineando come quest’anno ci siano 1600 posti in più di un anno fa e riammettendo 250 respinti del 2018 ai primi di ottobre, hanno dato priorità nella riammissione di questi studenti e vietato agli atenei di porre ostacoli. «Oltre alle irregolarità nei ricorsi – avverte Tuzi -si lamenta una violazione del diritto allo studio, diritto costituzionalmente garantito dall’articolo 34 secondo cui: “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. La riforma parte proprio da questa concezione», spiega il parlamentare intervistato da Doctor 33. «Bisogna formare chi ha voglia di affrontare il test, dandogli l’opportunità di seguire corsi e di sostenere esami che lo preparano alle materie dei quiz, in programma alla fine del 1° anno, compreso nel percorso di studi, e dunque da non considerare un anno in più per lo studente. Tutti potranno mettersi alla prova e cimentarsi nelle materie strettamente connesse al percorso di studi, evitando il business dei corsi privati, di fatto accessibili a pochi. In questo modo si evitano altri motivi di ricorso, quali quelli legati al contenuto del test, al quale tutti potranno partecipare formati con una rosa di testi comuni, senza discriminazioni. In questo modo poi non c’è nessun pericolo di potere baronale poiché gli esami sono più di uno e la media diventa solo un criterio sussidiario. Trovare una raccomandazione per tutti gli esami sarà meno probabile di adesso, dove basterebbe quella al test di ingresso. Insomma, un sistema più equo, nel rispetto dei tempi attuali, e che non pregiudica la formazione, anzi la potenzia». Filippo Anelli, presidente Fnomceo, condivide la necessità di sostituire il test «con un percorso di orientamento a facoltà e professione negli ultimi due anni delle superiori». No invece a riammissioni indiscriminate: «Aumenteranno ancora il numero di laureati in medicina esclusi dalle specialità e dall’accesso al Ssn. Serve invece una riforma che colleghi, per legge, il numero degli accessi ai posti nelle Scuole di specialità. Tale riforma darebbe certezze ai giovani e renderebbe le procedure più difficilmente attaccabili sul piano legale, perché sarebbe anche lo Stato a dover pagare per le borse dei riammessi». In sintonia il ministro della Salute Roberto Speranza: «Il punto non è che il prossimo anno sia l’ultimo del test d’ingresso bensì aumentare le borse di Specializzazione».
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