Riforma Pensioni, da Opzione Donna a Opzione Uomo: le anticipazioni
La riforma Pensioni, allo studio del Governo Meloni c'è la nuova Opzione Uomo, con analogo meccanismo dell'Opzione Donna
Non si è ancora nemmeno formato il nuovo Governo ma già si è riacceso il dibattito sulla riforma pensioni, che tuttavia si basa ancora solo su anticipazioni di stampa alle ipotesi allo studio.
Dalle indiscrezioni di corridoio pare sia tornata in auge la proposta del Governo Draghi condivisa con i Sindacati nei mesi scorsi, che all’epoca era stata definita Opzione Tutti e che oggi viene chiamata Opzione Uomo.
Opzione Uomo e Donna: anticipazioni e novità
Fondamentalmente, si estenderebbe anche agli uomini la possibilità di andare in pensione anticipata con i requisiti dell’Opzione Donna: che al momento prevede come requisito anagrafico i 58 o 59 anni di età, rispettivamente per dipendenti e autonome, con 35 anni di contributi.
Oggi l’Opzione Donna è prevista solo per le lavoratrici che maturano i sopra citati requisiti entro fine 2021. L’ipotesi è di prorogarla o addirittura renderla strutturale, affiancandola alla nuova Opzione Uomo, basata sul medesimo principio (pensione anticipata di un certo numero di anni rispetto ai requisiti Fornero.
Le penalizzazioni previste
Giorgia Meloni, che questa settimana riceverà l’incarico di formare il nuovo Governo, aveva già parlato in campagna elettorale dell’idea di estendere un meccanismo simile a quello dell’Opzione Donna anche agli uomini.
Vuol dire applicare per intero ricalcolo contributivo. Significa, per coloro che aspettando il requisito pieno avrebbero diritto al calcolo misto o retributivo, una decurtazione dell’assegno che può arrivare al 30%.
Il parere dei sindacati
L’ex Ministro del Lavoro aveva proposto una flessibilità in uscita intorno al 63-64 anni, mentre l’Opzione Uomo del Governo Meloni potrebbe essere ancor più flessibile sui requisiti anagrafici, a fronte di una penalizzazione sull’assegno.
Sull’ipotesi dell’Opzione Uomo c’è già anche una prima reazione dai sindacati. Il segretario generale della CGIL Maurizio Landini non ritiene percorribile l’ipotesi di «mandare in pensione le persone riducendo l’assegno», mentre rilancia sulla necessità di una complessiva riforma pensioni, da accompagnare con la lotta al precariato.
Riforma Pensioni: le alternative alla Fornero
Giorgia Meloni, che questa settimana riceverà l’incarico di formare il nuovo Governo, aveva già parlato in campagna elettorale dell’idea di estendere un meccanismo simile a quello dell’Opzione Donna anche agli uomini. Adesso, una volta nominato il nuovo Ministro del Lavoro e riavviato i tavoli con i sindacati, si tratterà di inserire la misura in Legge di Bilancio 2023. E si può anche dire che, con ogni probabilità, l’Opzione Donna sarà almeno prorogata di un anno.
Le alternative sono due:
- tornare ai requisiti pieni della Riforma Fornero, quindi pensione di vecchiaia a 67 anni e pensione anticipata con 42 anni e dieci mesi di contributi, uno in meno per le donne.
- Approvare entro la fine dell’anno una più vasta riforma pensioni.
La prima ipotesi è improbabile, perchè significherebbe arrivare al famoso scalone. Da un giorno all’altro, con il nuovo anno ci vorrebbero rispetto alle attuali forme di flessibilità in uscita quattro o cinque anni in più per andare in pensione.
La seconda ipotesi sembra a sua volta poco praticabile, in considerazione dei tempi stretti: il Governo deve per prima cosa mettere mano a provvedimenti urgenti come il decreto bollette, e poi impostare la manovra economica 2023. In effetti, la riforma pensioni potrebbe rientrarvi.
Introdurre fin da subito l’Opzione Uomo potrebbe essere più semplice, magari come forma provvisoria di flessibilità in uscita, con la stessa scadenza dell’Opzione Donna (per esempio, quindi, maturando i requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2022). Anche se bisogna fare i conti con le risorse a disposizione, in un momento in cui ci sono da affrontare una serie di emergenza, in primis caro bollette e caro inflazione.
Altre ipotesi allo studio del Governo, riportate da Repubblica: bloccare gli scatti legati alle aspettative di vita sulla pensione di vecchiaia, che quindi resterebbe a 67 anni, e la quota 41, tradizionalmente cara alla Lega, che prevede il pensionamento con 41 anni di contributi. Ricordiamo che la quota 41 piace anche ai sindacati, ma lo scoglio principale contro cui si scontra è tradizionalmente quello delle risorse.
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