Due truffatrici (partite da Napoli) pretendevano 7mila euro da una sessantenne di Roma.
«Suo figlio ha investito una bimba, rischia il carcere» Entrambe sono state arrestate: i carabinieri hanno trovato dei fogli con le frasi esatte "da recitare" durante i colpi
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Hanno fatto finta che uno dei figli della donna fosse responsabile di un grave incidente d’auto. «È passato col rosso e poi ha investito una bambina che adesso rischia la vita», diceva all’altro capo del telefono un malvivente facendo finta di essere un carabiniere. Ma tutto si poteva risolvere con un “risarcimento” di 7mila euro o consegnando dei gioielli. La vittima della truffa è una sessantenne romana. Le due donne mandate a riscuotere il bottino, entrambe napoletane, che avrebbero dovuto fingere di essere delle collaboratrici di un sedicente avvocato, sono state arrestate mentre ancora avevano in mano oltre 200 grammi di preziosi del valore di almeno 6mila euro di valore. Sono state portate in tribunale accusate di truffa in concorso. Il giudice ha deciso di convalidare l’arresto oltre che disporre per loro l’obbligo di dimora nel comune di Napoli. Una delle due aveva in tasca un “pizzino” col copione della storia da raccontare alla vittima.
La truffa era iniziata con una telefonata al numero fisso di casa. «Sono il maresciallo dei carabinieri» diceva uno dei componenti della banda. «Suo figlio ha fatto un grave incidente, ma si può risolvere tutto: la faccio chiamare dall’avvocato sul suo cellulare», aveva detto il finto militare. A quel punto la vittima aveva riattaccato rimanendo in attesa. Ma il truffatore no, in modo da tenere la linea occupata ed evitare che la signora potesse avere contatti e chiedere consigli. Poi era arrivata la chiamata dal finto legale che aveva propinato alla donna la stessa storia: «La famiglia della bimba è disponibile ad accettare 7mila euro di risarcimento, se non li ha vanno bene anche dei gioielli», Il sedicente avvocato aveva lasciato intendere di essere in contatto con il giudice del “caso”. Così la vittima, presa dal panico, alla fine aveva accettato di consegnare bracciali e collane d’oro. «Le mando a casa una mia collaboratrice», aveva concluso il finto legale. Ma nell’attesa la signora è riuscita a sventare la truffa dopo aver raccontato la telefonata a una delle altre figlie, che ha capito cosa stava succedendo e ha chiamato subito il 112.
Gli agenti del commissariato Casilino, sono intervenuti in borghese e con un’auto civetta. Arrivati sul posto, hanno subito compreso in quale palazzo di via Adolfo Giaquinto (periferia est di Roma) fosse in corso la truffa. Fuori dal portone c’era una delle due complici della banda, Carolina Pollaro, classe 76 che «faceva da palo». Intanto, in casa dalla signora era salita Alessandra Zinzi, di 39 anni, beccata dai poliziotti con i bracciali e le collane avvolte in uno straccio. In tasca aveva il bigliettino con il riassunto della storiella che i complici avevano raccontato alla signora. «Vostro figlio era distratto, aveva il cellulare in mano ed è passato col rosso – si legge nel foglietto – e sulle strisce c’erano una vecchietta con una bambina che adesso è in gravi condizioni». E ancora «noi abbiamo visto che il vostro è un bravo ragazzo e non ha mai fatto certe cose», ma «se viene l’avvocato a casa voi potete aiutarlo, se non potete c’è il rischio di una condanna di carcere da 2 a 3 anni». Una storia pensata nei minimi dettagli per traumatizzare la vittima.
In aula, durante l’udienza di convalida, la 39enne ha ammesso tutto. «Ero alla stazione centrale di Napoli quando un certo Pasquale e un certo Salvatore mi hanno avvicinata proponendomi questo lavoro». Nonostante fosse incensurata, per lei, così come per la complice, il pm Andrea Beccia aveva comunque chiesto gli arresti domiciliari, non concessi dal giudice che ha disposto per le due donne l’obbligo di dimora nel capoluogo campano. L’altra imputata , di 47 anni, che ha precedenti per gli stessi reati e il cui marito è in carcere sempre per truffa, ha dichiarato di non sapere niente. «Ho accompagnato a Roma la mia amica per un colloquio di lavoro da badante». Solo una scusa per il giudice.
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