Il buco nero dei Cpr.
Promesse di attività di bricolage e postazioni di videogiochi mai viste da parte degli enti gestori, mentre i controlli delle prefetture scarseggiano.
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Poche ispezioni, promesse fasulle (e anche molto fantasiose) per vincere i bandi, pochissima trasparenza. I centri di permanenza per il rimpatrio, che vantano il primato di essere lo strumento più sponsorizzato dal governo nella lotta all’immigrazione non regolare, sono una somma di buchi neri. Emergono dati inquietanti e interessanti dal lungo lavoro fatto da Altraeconomia e dall’Associazione studi giuridici per l’immigrazione sullo stato dei Cpr in Italia. II panorama risulta ancora più desolante se si pensa che il governo aveva annunciato la costruzione di altre dieci strutture simili a quelle che già ci sono, secondo il mantra “un Cpr in ogni regione” – il progetto è stato finanziato con il decreto Mezzogiorno, ma i tempi annunciati non sono stati rispettati e di queste nuove strutture non si vede neanche l’ombra – e si accinge a replicare il modello italico anche in Albania. Con un piccolo problema: la data cerchiata in rosso è quella del 20 maggio, quel giorno i centri dovrebbero essere operativi e gli appalti assegnati. Ad HuffPost, però, risulta da fonti albanesi ben informate che, soprattutto per una delle strutture, i lavori sono ancora in alto mare. E che, quindi, prima di settembre difficilmente questi centri saranno pienamente operativi.
Ma cosa ha svelato questa inchiesta? Innanzitutto, che le prefetture di questi centri si occupano ben poco: negli ultimi 5 anni, i nove Cpr attivi sono stati ispezionati appena 33 volte. Sono disponibili solo i verbali di 24 ispezioni. Perché sarebbe importante un monitoraggio maggiore? Perché le condizioni dei migranti che si trovano dentro queste strutture – 6620 nel 2023, solo la metà è stata espulsa – sono spesso critiche. HuffPost aveva raccontato dei suicidi, a partire da quello più recente di Ponte Galeria, dell’abuso di psicofarmaci e delle rivolte disperate. Altraeconomia racconta dei quattro morti in quattro anni a Gradisca d’Isonzo e di una realtà molto diversa da quella che c’è sulla carta. Il Cpr friulano è gestito dalla stessa società che gestisce l’omologa struttura di Macomer, in Sardegna. Secondo l’indagine fatta da Asgi e Altraeconomia, nel documento in cui si racconta come saranno accolti e gestiti gli ospiti si parla di corsi di bricolage, di attività di pittura con annessa addirittura una mostra, dell’installazione di una postazione per i videogiochi e – fantascienza – di interazione con “con la comunità dei gamer”. Il tutto, in collaborazione con le istituzioni.
Quanto c’è di vero in tutto questo? Poco o nulla. E non è un caso se il Cpr friulano – il secondo più grande d’Italia dopo quello di Ponte Galeria – è uno di quelli che presentano più problemi. Quanto siano poco sostenibili le condizioni dei migranti costretti a Gradisca in attesa di espulsione lo dice la cronaca: il 29 aprile in quattro hanno tentato la fuga. Tre ci sono riusciti. Il quarto si è ferito, saltando da un muro di cinque metri, ed è in ospedale. Che la serenità sia quanto di più lontano possibile da quel centro lo dimostra anche una valutazione che si sta facendo in queste ore: creare un nuovo reparto di Polizia sull’area, che abbia gli occhi puntati proprio sul centro.
Promesse infrante (se non addirittura inventate) anche a Macomer, dove l’ente gestore prometteva collaborazioni con associazioni e università e una serie di attività ludiche che chi ha visitato il centro non ha mai visto. Raccapriccianti, al contrario, risultano le condizioni di quella struttura che era nata come carcere di massima sicurezza ed è stata considerata inadatta anche a quello scopo. Ecco come ne parla, in un lungo post su Facebook, la rete “Mai più lager – no ai Cpr”, che ha visitato il centro con l’associazione Naga e la deputata di Avs Francesca Ghirra. “In generale il luogo – si legge nel lungo post – è fortemente caratterizzato dall’aspetto detentivo/punitivo (celle e mura asfittiche, sbarre ovunque, etc.), e presenta caratteristiche di obsolescenza e incuria che sollevano anche dubbi sui sistemi di sicurezza, incluso quello antincendio, come evidenziato dall’incendio che proprio ieri sera 24 marzo si è sviluppato all’interno del Centro. L’assenza di spazi comuni effettivamente fruiti e di attività di qualsiasi genere lo configura come uno spazio in cui vige un regime di abbandono delle persone detenute”. Altro che corsi di pittura, mostre e formazione. I centri che per il governo rappresenterebbero il punto di forza per incrementare i rimpatri sono una zona grigia, su cui neanche le autorità preposte riescono a fare pienamente luce.
Di Huffpost
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