Il disastro cassa integrazione prodotto da errori e burocrazia
"Il meccanismo della cassa integrazione non ha funzionato perché la scelta strategica iniziale è stata sbagliata. L’errore è stato di gestire una pandemia con gli strumenti, già precari, della tradizionale cassa integrazione pensata per le normali crisi o riorganizzazioni aziendali".
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È netto il giudizio di Enzo De Fusco, giuslavorista e uno dei principali consulenti del lavoro italiani, sul grave malfunzionamento e sui drammatici ritardi della cassa integrazione per l’emergenza Coronavirus.
Domanda. Sono state mantenute procedure ordinarie per un’emergenza epocale?
Risposa. Certo. Nel concreto questo vuol dire che i sistemi informatici sono settati con controlli rigidi sulle procedure per la richiesta, obbligo di fornire dati e informazioni eccessive rispetto al reale bisogno in epoca Covid, e modalità di controlli sulla durata pensati per unità produttiva e non per i singoli lavoratori, che hanno messo in ginocchio le imprese.
- Un disastro annunciato. Perché?
- Tutto questo è stato fatto perché non c’è stato il coraggio di realizzare in 15 giorni un software e un processo gestionale nuovo e snello che consentisse l’utilizzo di un unico strumento di tutela, richiesta dei soli dati necessari, e velocità nei pagamenti. La cosa che fa più riflettere è che successivamente alcune di queste modifiche sono state fatte comunque, in ritardo, e sono risultate molto più invasive visto che hanno dovuto rettificare vecchie procedure peggiorando comunque il risultato.
- Niente è avvenuto per caso, dunque. C’è una puntuale responsabilità.
- Esiste sicuramente una responsabilità chiara di chi ha fatto quella scelta originaria. Tanto più che anche per la cassa in deroga è stata adottata la stessa procedura di 10 anni fa. In questo caso è risultato chiaro sin da subito che una procedura complessa accompagnata al mancato dialogo dei sistemi informatici tra le amministrazioni, ha prodotto i risultati che stiamo vedendo.
- Risultati che consistono in mancati pagamenti a migliaia di lavoratori.
R, A oggi, nonostante le promesse del presidente dell’Inps, ci sono, solo nella grande distribuzione organizzata, circa 300 mila lavoratori che da marzo ancora non prendono la cassa integrazione. E ce ne sono migliaia di altri di altri settori che aspettano l’indennità.
- È stata introdotta una nuova procedura nel decreto Rilancio: può correggere errori e distorsioni?
- Purtroppo la nuova procedura introdotta con il decreto Rilancio non risolve il problema. Basti pensare che le sospensioni che dovranno essere pagate con questo meccanismo nuovo riguardano per la maggior parte le assenze tra il 10 maggio e il 15 giugno. La procedura prevede che ai lavoratori sia pagato un acconto del 40% (circa 450 euro) dopo metà luglio, e il saldo (circa 600 euro) a fine agosto, inizi di settembre. Non mi sembra un rilevante risultato.
- Quale sarebbe, invece, la strada da seguire?
R, C’è solo una cosa che si può fare. L’Inps mette a disposizione lo stanziamento per pagare la cassa integrazione direttamente alle imprese. Esse corrispondono le somme ai lavoratori come se fosse uno stipendio. Procedura semplice e veloce, ma bisognava farlo prima.
- C’è anche il nodo dei tempi: sono poche le nuove settimane utilizzabili.
- Infatti. E’ necessario accompagnare le imprese con la cassa integrazione almeno fino a fine anno. Se anche passasse il decreto legge che consente di anticipare le 4 settimane attualmente utilizzabili solo dal 1° settembre, le imprese a metà luglio si troverebbero nuovamente in una fase di incertezza su come pagare gli stipendi dei dipendenti in esubero. In questa fase 2 le aziende hanno bisogno di sicurezze e di conoscere con congruo anticipo quale sarà il supporto dello Stato in termini di cassa integrazione. Lasciare gli imprenditori nel dubbio attiva inevitabilmente un freno di emergenza che ostacola il ritorno alla normalità delle imprese. Ma il reale bisogno è già quello di avere strumenti di sostegno al reddito per tutto il 2021 sebbene con un utilizzo che sarà molto più ridotto. Se mancasse l’appoggio dello Stato per la cassa integrazione inevitabilmente si scaricherebbe il costo della pandemia sul datore di lavoro, che, per tenere in equilibrio i conti e non fallire, è costretta a licenziare. Pertanto la decisione del governo nelle prossime settimane sarà decisiva per capire quale sarà il perimetro occupazionale Italia nei prossimi anni.
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