Anno: XXV - Numero 214    
Giovedì 21 Novembre 2024 ore 13:20
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Picchia la moglie, ma resta giudice

Nel nuovo libro di Stefano Zurlo peccati e illeciti delle toghe. Spesso destinate all'impunità.

Picchia la moglie, ma resta giudice

Il pugno va a segno all’altezza della tempia destra. Solo che non siamo sul ring, ma in una abitazione borghese. E lui è un sostituto procuratore generale della Cassazione. Ironia della sorte, è uno dei magistrati che indagano sulle malefatte dei colleghi. Sì perché è la Procura generale della Cassazione a condurre le indagini che portano ai processi davanti alla Disciplinare. Un cortocircuito perfetto e clamoroso, per una vicenda odiosa e triste. In linea con certo maschilismo violento e retrogrado per cui tutti oggi giustamente si indignano e i magistrati accertano colpe e reati.

Questa volta è dentro la casa di vetro della magistratura che avviene il fatto. La moglie, sudamericana, ha quasi trent’anni meno del consorte ed è proprio lei a chiamare le forze dell’ordine il 10 marzo 2020: la signora «riferiva agli operatori che poco prima il marito le aveva alzato le mani: dopo aver avuto una violenta lite verbale passava appunto alle vie di fatto per motivi di gelosia legati a una relazione extraconiugale intrattenuta dall’uomo. In particolare, prima dell’intervento delle forze dell’ordine, il marito colpiva la moglie con un pugno all’altezza della tempia destra cagionandole un vistoso ematoma con rigonfi amento all’altezza dell’arcata sopraccigliare. Per tale motivo veniva richiesto l’intervento sul posto del personale medico 118». È davvero una brutta storia quella che si presenta alle forze dell’ordine e poi al 118. Violenza e sopraffazione. E fa impressione pensare che lui sia un magistrato autorevole. Come è possibile? Al pronto soccorso danno alla vittima sette giorni di prognosi. Lei, sconvolta, racconta dettagli impressionanti: nel 2018 hanno avuto un bambino, nato con una grave malformazione cardiaca. Forse anche per questo lei si è lasciata andare fisicamente, pur essendo giovane, e lui ha infierito su di lei: «Dopo la nascita del mio bambino il mio compagno mi recava continue offese a causa del mio peso, che all’epoca risultava essere di 103 chili, tanto che ero costretta a mangiare di nascosto perché lui me lo impediva facendo nei miei confronti una violenza psicologica». Un quadro disastroso che non migliora neppure con il matrimonio celebrato in chiesa nel 2019. Anzi, in quel periodo lei scopre che il marito ha una relazione extraconiugale… Uno stillicidio di mortifi cazioni. Fino alla scintilla che il 10 marzo 2020 innesca l’incendio: «Alle ore 15 cominciavamo a litigare perché notavo che mio marito era intento a conversare con la sua amica. A casa era presente anche la tata, ovvero la signora che accudisce nostro fi – glio; durante la lite lui mi sferrava un pugno all’altezza della tempia destra cagionandomi un vistoso ematoma con rigonfi amento all’altezza dell’arcata sopraccigliare. Poco dopo, sentendo le mie urla di dolore, giungeva in camera da letto la tata la quale mi diceva, mentre lui era in un’altra stanza: Così non va, così finisce che ti ammazza; lui a questo punto ribatteva: Adesso infatti vado da lei, la donna che amo veramente. Alle 15.30 circa allertavo le forze dell’ordine telefonicamente che sarebbero intervenute sul posto di lì a poco. La polizia richiedeva l’intervento del pronto soccorso il quale prestava le cure del caso»…

L’8 aprile il colpo di scena. La donna ritira la querela. E senza denuncia, non si può più procedere per le lesioni. La signora offre una versione dei fatti molto più soft, rimaneggiata: «Mercoledì 1° aprile sono rientrata presso l’abitazione coniugale, ci siamo rappacificati e viviamo insieme, per cui non vi è motivo del prosieguo dell’azione penale». La storia si diluisce, perde consistenza, diventa più vaga: «Voglio far presente che l’11 marzo, al momento della redazione del verbale, io ero molto emozionata e scossa e non avevo la capacità di rendermi perfettamente conto dell’importanza e della gravità collegata alla presentazione di una denuncia, tant’è che non ho avuto la precisa percezione di formalizzare tale atto di denuncia… Aggiungo ancora che probabilmente il giorno della denuncia ero molto nervosa e ho risposto alle domande che mi venivano poste senza rendermi bene conto di ciò che stavo rappresentando oggi mi rendo conto che tutto ciò che rappresentavo erano piuttosto problemi di coppia che riguardavano esclusivamente il nostro rapporto interpersonale». Insomma, tutta la storia viene reinterpretata e depotenziata. Le accuse evaporano: «Quando in denuncia ho fatto riferimento all’atteggiamento di mio marito rispetto alla mia condizione di sovrappeso, non intendevo riferirmi a comportamenti oggettivamente offensivi, ma semplicemente rappresentare che lo stesso si preoccupava della mia condizione e cercava di distogliermi dal continuare a mangiare». Anche i fatti del 10 marzo come lei li chiama vengono in qualche modo derubricati: «Avevamo ancora una volta litigato perché avevo notato che lui chattava con una persona, inviando anche dei cuoricini. Ho chiesto se si trattava di quella persona, ma lui mi ha detto di no. Mi sono recata in camera e lui mi ha seguito. Non convinta di quello che mi aveva detto, ho notato il suo telefono che era accanto a lui, sul letto, e l’ho preso effettuando una chiamata alla sua amica». Siamo al momento decisivo: «Mentre avevo il telefono accostato all’orecchio destro, lui, che si era accorto della mia telefonata, ha provato a togliermi il telefono e quindi ha allungato la mano e me lo ha tolto. In quel momento ho sentito un colpo all’altezza del sopracciglio destro, ma non sono in grado di precisare con che cosa sono stata colpita. Ribadisco di non aver avuto la possibilità di vedere se venivo colpita con un pugno o in un’altra maniera»….Non basta. Dopo aver riletto il verbale, lei chiede ancora la parola per precisare qualcosa ed è qualcosa di molto importante: «La dichiarante intende precisare che l’episodio del 10 marzo è stato oggetto di una riconsiderazione da parte sua e del marito stesso e insieme sono riusciti a ricostruire che si è trattato di un semplice evento accidentale scaturito dal movimento impulsivo del marito che cercava di riprendere il telefono ma non aveva nessuna intenzione di colpirla». Va bene tutto, d’accordo, ma qui siamo passati dal pugno da boxer e dalla tata che entra e grida: «Così finisce che ti ammazza» al colpo accidentale. Dallo scatto violento, preceduto da una serie di frasi livorose, all’incidente. Dalla denuncia a una mezza ritrattazione… Il processo penale si ferma prima ancora di cominciare. E quello disciplinare, promosso dalla stessa Procura generale di cui fa parte l’incolpato, perde pezzi. In particolare, il fascicolo penale va in archivio: le lesioni sono svanite con il ritiro della querela, i maltrattamenti non tengono: Il 16 luglio 2021 la Procura generale formula richiesta di non luogo a procedere nei confronti dell’incolpato per «insussistenza dell’illecito contestato». Ma davvero si può pensare che il fatto non sia accaduto? E che lei si sia fatta male da sola? O qualcosa del genere? Le versioni successive sconfessano la prima, ma la prima ha la forza dell’immediatezza e non può essere liquidata come una sorta di suggestione.

La Disciplinare non ci sta e decide di processare comunque il magistrato: «I fatti per cui si procede non appaiono di evidente irrilevanza». E i giudici decidono di ascoltare anche le due donne a cui la signora si era rivolta terrorizzata dopo il ko, «anche in considerazione del fatto che la rimessione di querela ha impedito nel procedimento penale l’accertamento del fatto». Insomma, pare davvero strano che la storia sia andata come ha raccontato lui e alla fi ne pure lei. ..Tocca alla signora che la donna aveva contattato, compagna di liceo del marito e legata alla coppia da «un rapporto di cordialità». Dunque, la sera del 10 marzo la moglie del magistrato le invia un messaggio WhatsApp in cui «le domandava se potesse fi darsi di lei, inviandole subito dopo una fotografa che la ritraeva con indosso la mascherina, la faccia tumefatta e un occhio nero. A quel punto mi telefonò e mi raccontò di questo scontro avuto con il marito e mi raccontò di una situazione coniugale molto diversa da quella che fi no ad allora avevo potuto immaginare. Era disperata e cercava qualcuno che l’aiutasse ad andare via di casa senza rischiare di perdere il bambino mi chiese se conoscevo qualcuno, un avvocato, che potesse assisterla gratuitamente, non avendo lei autonomia economica mi disse che aveva avuto un litigio violento e che durante questo litigio lei era stata picchiata, aveva avuto un occhio nero ed era stata al pronto soccorso»… La foto, anzi le due foto, viene recuperata dalla teste e acquisite agli atti… La corte non ha dubbi: «Ritiene la Sezione che debba ritenersi pienamente provato che il giudice abbia volontariamente colpito la moglie, cagionandole un ematoma all’altezza del sopracciglio»…Il giudice è colpevole. La pena? La perdita di anzianità di sei mesi. La sanzione c’è anche se ci saremmo aspettati altro. Però è andata così. È vero che la perdita di anzianità fa scalare al ribasso posizioni su posizioni in vista dei concorsi, ma c’è da chiedersi se la punizione sia adeguata a un episodio così triste.

Lui, comunque, è rimasto alla Procura generale della Cassazione.

Fonte Il Giornale.It

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