Anno: XXV - Numero 214    
Giovedì 21 Novembre 2024 ore 13:20
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Quel gas a "chilometro zero" bloccato dalla burocrazia

I vetrai di Murano costretti a spegnere le fornaci per l'aumento della bolletta energetica sono seduti su giacimenti dal potenziale di 3 miliardi di metri cubi l'anno. La Croazia li sfrutta e noi stiamo a guardare

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Il flusso di gas russo che arriva in Europa passando sul fondo del Baltico continua ad affievolirsi. Da Mosca il colosso degli idrocarburi, Gazprom, si giustifica dietro un problema tecnico: la mancanza dei componenti per la riparazione di una turbina a causa delle sanzioni. Ma per il governo tedesco quella del Cremlino sarebbe una “decisione politica”. E per l’Ue un “ricatto”. L’incertezza sulle forniture fa impennare di nuovo il costo del metano a 142 euro Mwh, dopo il rialzo del 18 per cento di giovedì sul listino di Amsterdam. A pagare le conseguenze di queste oscillazioni, che il governo italiano chiede di fermare mettendo un tetto europeo al prezzo, sono famiglie e imprese. Soprattutto quelle energivore.

Il costo della bolletta, che secondo le stime di Confcommercio e Nomisma Energia è aumentato fino al 140 per cento nel giro di un anno, ha messo in ginocchio anche attività secolari, come quelle dei vetrai di Murano, dove qualche mastro è stato costretto a malincuore a spegnere le fornaci. Eppure proprio il Veneto, paradossalmente, potrebbe beneficiare di gas a “chilometro zero” sul modello della Basilicata. Qualche miglio al largo della laguna di Venezia c’è un giacimento scoperto negli anni ’80 e ’90 che consentirebbe di raddoppiare il potenziale estrattivo nazionale. Le riserve accertate si attestano tra i 30 e i 40 miliardi di metri cubi. Ma ce ne potrebbero essere 10 ulteriori. Nelle proprie acque territoriali la Croazia ha costruito piattaforme già da decenni ed ha in programma con la società petrolifera croata, l’Ina, di investire 266 milioni di euro per realizzarne altre a partire dal prossimo settembre.

Nel nostro mare, invece, tutto è fermo a causa di una serie di norme che a partire dagli anni ’90 e 2000 hanno bloccato le attività di ricerca per il rischio di subsidenza. Tecnicamente si tratta dell’abbassamento del suolo proprio a causa dell’effetto delle estrazioni. Anche il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PiTESAI) approvato di recente dal ministro della Transizione Ecologica mette dei paletti alle esplorazioni nel Nord Adriatico per lo stesso motivo. E così l’Italia rinuncia ad estrarre 3 miliardi di metri cubi di gas in più all’anno. È questo il potenziale del giacimento per al massimo un ventennio. Se contiamo anche il periodo che ci vorrebbe a metterlo a regime, due o tre anni con un costo di circa due miliardi, è esattamente il tempo che ci separa dagli obiettivi del Green Deal europeo.

La cifra, per avere un’idea è equivalente al totale dell’attuale produzione nazionale e rappresenta il 10 per cento del gas che importiamo dalla Russia. Oggi la tecnologia consentirebbe di minimizzare anche i rischi geologici. Gli studi effettuati sulle piattaforme operative davanti alle coste dell’Emilia Romagna hanno dimostrato che il fondale si abbassa di due centimetri in un arco temporale di trent’anni e soltanto nel raggio di pochi chilometri da dove avviene l’attività estrattiva. Considerando che, tranne per quello situato di fronte a Chioggia, i giacimenti dell’Alto Adriatico si trovano a molte miglia dalla costa, per gli esperti il rischio è davvero minimo. E poi la Croazia da anni estrae lungo la linea del confine.

Le tecniche sarebbero le stesse utilizzate a sud della foce del ramo di Goro del Po. Potrebbero essere anche le stesse aziende del ravennate che già operano in quell’area a realizzare le piattaforme, con conseguenze positive anche sull’indotto. Per questo la politica si sta muovendo e chiede che vengano rimossi i vincoli che risalgono ad almeno vent’anni fa. Tra le proposte c’è quella della deputata di Forza Italia, Claudia Porchietto, che ha presentato un emendamento al Dl Aiuti per sbloccare le esplorazioni sui giacimenti dell’Alto Adriatico. Anche il senatore Gaetano Nastri, vicepresidente della commissione Ambiente, ha chiesto conto della situazione al ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, che in Senato si è detto disponibile ad una revisione del PiTESAI “alla luce di quanto sta accadendo, cercando di combinare le due cose, che sono combinabili: riduzione del gas totale e nello stesso tempo aumento del gas che ci servirà dai nostri giacimenti”. “In tal modo, – ha specificato il ministro – si mantiene la rotta della decarbonizzazione al 55 per cento, ma si rende l’Italia più sicura e stabile dal punto di vista energetico”.

Nel frattempo i croati approfittano di risorse che sono anche nostre? Purtroppo, in qualche caso, è verosimile. Per capire il perché basta pensare ai giacimenti che si trovano tra Venezia e l’Istria come ad una manciata di acini d’uva. Se li lasciassimo cadere in terra sparpagliandosi e tracciassimo una retta immaginaria per separarli, quelli finiti sulla linea di divisione rischiano di dare tutto il succo a chi li spreme per primo.

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