Truffa per chi chiede l’elemosina senza essere povero
Commette il reato di truffa chi chiede l'elemosina simulando uno stato di indigenza nel quale in realtà non si trova.
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Giro di vite della Cassazione sull’accattonaggio messo in atto da chi non avrebbe bisogno di suscitare la pietà altrui. La Suprema corte respinge, infatti, la tesi della difesa dell’imputato, classe ’87, secondo la quale il suo assistito meritava una condanna meno severa di quella inflitta per il reato di truffa, visto che la condotta incriminata, e dunque la simulazione dello stato di bisogno, dovrebbe rientrare nel raggio d’azione dell’articolo 669-bis del Codice penale sull’esercizio molesto dell’accattonaggio.
L’accattonaggio
Una norma che punisce «chiunque esercita l’accattonaggio con modalità vessatorie o simulando deformità o malattie o attraverso il ricorso a mezzi fraudolenti per destare l’altrui pietà». Per il ricorrente era questo il caso. Lui aveva avvicinato due ragazze di 14 anni «e riferendo false notizie sul proprio stato le aveva indotte in errore facendosi consegnare somme di denaro, procurandosi un ingiusto profitto di ventidue euro». Per la Cassazione ci sono gli artifici e i raggiri tipici della truffa. «L’artificio – si legge nella sentenza – può essere definito come quell’espediente a mezzo del quale l’agente alterando la realtà esterna, crea nella vittima una falsa rappresentazione della medesima traendolo in inganno: quindi il classico comportamento attivo (la cosiddetta mise en scène)». Per meglio motivare la Suprema corte fa appello anche alla lingua italiana. Secondo il più autorevole dizionario, infatti, si tratta di «quel comportamento per lo più di natura verbale – scrivono i giudici – tenuto nei confronti di un determinato soggetto e ispirato ad astuzia e ingegnosità e allo sfruttamento dell’altrui ingenuità o buona fede, che determina nel destinatario un’erronea rappresentazione della realtà».
La sceneggiata
Una “sceneggiata” insomma, che ha lo scopo di «indurre il destinatario a fare, con proprio danno e con indebito vantaggio della controparte o di un terzo qualcosa che egli altrimenti non farebbe allo stesso modo». Nel caso esaminato l’imputato non solo aveva mentito sulla sua condizione disagiata per muovere a compassione le giovani vittime, cosa che era riuscito a fare, ma aveva anche trattenuto parte del resto, facendo finta di equivocare sull’entità dell’offerta data. E le ragazze convinte di adempiere ad un dovere di solidarietà sono state così raggirate.
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