Un monumento per non dimenticare.
Milano onora i martiri delle foibe
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Sette tonnellate di porfido. Pesa come un macigno sulla coscienza dell’Europa post bellica la tragedia delle Foibe e dell’esodo giuliano dalmata, e allora proprio un macigno ci voleva, nel cuore di Milano, per ricordare con un monumento il sacrificio patito oltre 70 anni fa dagli italiani dell’Adriatico orientale.
E ad accogliere sabato mattina quell’atteso monumento, il primo in Italia di queste dimensioni, sarà non il solito slargo di periferia ma la centralissima piazza della Repubblica, proprio quella che per uno scherzo del destino fino alla seconda guerra mondiale si chiamava piazzale Fiume.
Ci sono voluti vent’anni, ma alla fine ce l’hanno fatta gli esuli da Pola, da Fiume, da Zara e dalla miriade di cittadine venete che tuttora costellano le coste di Slovenia e Croazia: “L’idea mi è venuta vent’anni fa”, è soddisfatto Romano Cramer, nato ad Albona nel 1946, quando ancora l’Istria era Italia, e già esule a 3 anni, in fuga come altre centinaia di migliaia di italiani di fronte alla furia del maresciallo Tito. “Il primo progetto fu respinto dalla giunta Albertini, così fondai un Comitato per il Monumento chiamando a rinforzo le varie associazioni di esuli: finalmente la giunta Pisapia lo ha approvato, poi il sindaco Sala lo ha portato a termine con grande rispetto della nostra storia”. Due giunte di centro sinistra, insomma, “e questo rende il gesto ancora più importante, nell’ottica di una memoria davvero condivisa”.
Infatti se ancora qualche frangia estremistica nega le stragi del regime jugoslavo comunista, ormai le persecuzioni perpetrate in tempo di pace da Tito ai danni di istriani, fiumani e dalmati sono uscite dal lungo oblio della censura. “Da 70 anni attendevo questo giorno”, commenta commosso lo scrittore e artista Piero Tarticchio, che ha disegnato il monumento –. Oggi penso a tutti quelli che non ci sono più e che avrebbero voluto vivere questo momento storico. Invito coloro che passeranno di qua a fermarsi e dire una preghiera per tutte le vittime che giacciono ancora sul fondo dell’abisso”.
Tra queste, anche il padre di Tarticchio, pacifico bottegaio a Gallesano, trascinato via da casa una notte davanti ai suoi occhi di bambino e gettato in una foiba in quanto italiano. “Nei miei sogni tornano ancora i reticolati di filo spinato che io e mia madre attraversammo di notte nel giugno del 1945 sotto un temporale. Fuggivamo per non essere infoibati dai partigiani di Tito come era successo a mio padre e ad altri sei miei familiari”.
“A perenne memoria dei martiri delle Foibe, degli scomparsi senza ritorno e dei 350.000 esuli dalla Venezia Giulia, dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia”, è inciso sul porfido, che rappresenta un corpo con le braccia aperte in croce, adagiato nell’imbuto di una foiba. Sotto, i nomi delle città martire, Gorizia, Trieste, Fiume, Istria, Dalmazia.
L’opera è donata alla città dalla Fondazione Bracco, ben nota per il costante impegno a favore della cultura: “Ma il motivo per cui abbiamo risposto con entusiasmo è un altro – afferma la presidente Diana Bracco, ai vertici di un gruppo oggi leader mondiale nel settore dell’imaging diagnostico con oltre 3.600 persone impiegate e 1,5 miliardi di euro di fatturato –, all’Istria siamo legatissimi perché lì ci sono le radici della nostra famiglia”, fin dai tempi dell’impero austriaco. “Lì nel 1909 è nato mio padre Fulvio e lì aveva vissuto mio nonno Elio, segretario comunale di Neresine, nell’isola di Lussino. Nato nel 1884 da una famiglia di patrioti istriani, nonno Elio era un uomo con fortissimi valori, a iniziare dall’impegno civile, e pagò il suo irredentismo con tre anni di detenzione nel campo di concentramento di Graz in Austria. Tutta la nostra famiglia si sentiva italiana e l’irredentismo permeava la nostra vita. Oggi sembra impossibile credere in una determinazione e in un attaccamento per l’Italia così forti da essere pagati con anni di duro carcere”.
Proprio in prigione, però, Elio Bracco imparò il russo e il tedesco, lingua che lo portò a creare una forte amicizia con Guglielmo Merck, dell’omonima casa farmaceutica di Darmstadt. “Trasferitosi a Milano, proprio con l’amico Guglielmo fondò nel 1927 la Società Italiana Prodotti E. Merck, che poi divenne Bracco. L’Istria è una terra incredibile – conclude l’imprenditrice – che ha forgiato il nostro carattere, da lì è venuta la tenacia di non arrendersi che ha contraddistinto le nostre vicende. Anche per questo abbiamo sempre sentito forte un’esigenza di ‘restituzione’: di ridare cioè alle comunità in cui operiamo, a iniziare da Milano, città che ci ha accolto, una parte di ciò che come impresa abbiamo creato”.
Sabato alle 10,30 l’inaugurazione, alla presenza del sindaco Sala e dell’assessore all’Arredo urbano Pier Francesco Maran, che ha sovvenzionato il trasporto, lo scavo e la posa del monumento.
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