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Via d’Amelio: quei pm che dimenticarono di depositare i verbali

La decisione dei magistrati di Caltanissetta. La commissione antimafia siciliana ha evidenziato che quella scelta ha «determinato una grave deviazione processuale» soprattutto nella valutazione dell’attendibilità del pentito Scarantino

Via d’Amelio: quei pm che dimenticarono di depositare i verbali

Per ora sarebbero due i magistrati finiti nel registro degli indagati con l’ipotesi di reato di concorso in calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa nostra. Parliamo del nuovo colpo di scena relativa alla vecchia indagine sulla strage di Via D’Amelio, definita dal Borsellino Quater il «il più grande depistaggio della Storia». Ma è un depistaggio che ha visto anche come protagonista l’irritualità dello svolgimento del processo, tant’è vero che lo scorso novembre la Procura di Caltanissetta, che ha istruito il processo del Borsellino Quater, aveva trasmesso una tranche dell’inchiesta ai colleghi messinesi perché accertassero se nella vicenda, ci fossero responsabilità di magistrati. Così la Procura di Messina ha aperto in un primo tempo un fascicolo di atti relativi, una sorta di attività pre- investigativa sfociata adesso in una inchiesta per calunnia aggravata. Ora dovranno conoscere i contenuti delle registrazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino quando era nel programma protezione, dove aveva a disposizione un telefono fisso e poteva solo ricevere le chiamate.  Parliamo di un accertamento tecnico non ripetibile, avente ad oggetto il riversamento di 19 supporti magnetici contenenti registrazioni prodotte con strumentazione della Radio Trevisian, denominata RT2000, trasmessi alla procura di Messina, in originale, dalla procura di Caltanissetta. Ma rimane ancora inevaso un interrogativo, proprio sulla conduzione dell’iter processuale che è costata la condanna di otto innocenti, sulla base delle dichiarazioni di Scarantino. Lo spartiacque, o meglio quello che avrebbe dovuto essere, è da ritrovare nella data del 13 gennaio del 1995, quando c’è stato il confronto tra Scarantino e i collaboratori di giustizia Totò Cancemi, Gioacchino La Barbera e Mario Santo Di Matteo. Ed è proprio in quel confronto che emerse la totale mancanza di attendibilità di Scarantino. Ma è accaduto che il verbale del confronto è rimasto nel cassetto per diverso tempo. Alla data dei confronti, ovvero il 13 gennaio 1995, nessuno dei processi riguardante la strage di via D’Amelio era stato ancora definito. La sentenza del primo processo concluso, il Borsellino 1, viene pronunciata solo nel gennaio del 1996, a distanza di oltre un anno dall’avvenuta assunzione dei confronti. Il deposito di quei verbali demolitori della figura di Scarantino, quanto al profilo e criminale quanto al contenuto delle dichiarazioni, avrebbe potuto quindi incidere sensibilmente sulle conclusioni di quel processo. Che invece, com’è noto, si concluse accettando l’intero impianto accusatorio basato sulla parola di Scarantino e condannando all’ergastolo. Il verbale uscì fuori grazie alla tenacia dell’avvocato Rosalba Di Gregorio, che all’epoca difese alcuni imputati poi condannati ingiustamente per la strage. Lo racconta in audizione dinnanzi la commissione antimafia della Sicilia presieduta da Claudio Fava. «Siamo all’udienza preliminare del bis, quindi siamo se non ricordo male nel 1996 – ha spiegato Di Gregorio – facciamo le copie degli atti, tra le copie degli atti spunta fuori una missiva strana, una lettera di trasmissione dal Procuratore aggiunto di Caltanissetta Paolo Giordano, al procuratore aggiunto Guido Lo Forte di Palermo dove gli dice: «Ti mando, per quanto di interesse, i confronti fra Scarantino- Cancemi, Scarantino- Santino Di Matteo, Scarantino – Gioacchino La Barbera». Cerchiamo questi confronti ma non ci sono, cioè non sono stati depositati, quindi noi chiediamo al giudice dell’udienza preliminare di fare depositare i confronti. La risposta a verbale è “Non esistono”. Gli abbiamo detto: “Non è possibile che non esistono, se li avete trasmessi a Palermo, evidentemente esistono quindi non ci dite non esistono, dite non ve li vogliamo depositare», «Non esistono e se esistono non riguardano gli imputati di questo processo, quindi voi non li potete avere». A quel punto l’avvocato ha fatto un’istanza al dott. Guido Lo Forte come indagine difensiva ed è andata a parlargli. «Mi ha detto – racconta sempre la Di Gregorio: «Lei è pazza – graziosamente, cordialmente – se pensa che io le do una cosa che Caltanissetta non le vuole dare». Io ho detto «No, no, ma io lo voglio messo per iscritto: non te la posso dare, fattela dare da Caltanissetta». E così abbiamo fatto. Il dott. Lo Forte scrive nella mia istanza «Non te la do, te la fai dare da Caltanissetta», quindi io prendo la risposta e la porto a Caltanissetta a Paolo Giordano dicendo: «Siccome esistono e me li devi dare tu, ti dispiace che me li dai?» «Non se ne parla assolutamente, non ti interessano, non ti riguardano, non riguardano gli imputati, non riguardano questo processo». Alla fine, nel febbraio del 97 ( e cioè dopo più di un anno dalla richiesta rigettata in udienza preliminare), l’avvocato Di Gregorio chiese e ottenne il deposito del confronto tra i collaboratori di giustizia e Scarantino nel processo “Borsellino ter”.  La commissione antimafia della Sicilia, nella sua relazione, ha evidenziato che il mancato deposito di detti verbali nella segreteria del pubblico ministero ha «sicuramente determinato una grave deviazione processuale, perché ha impedito alla Corte di Assise di Caltanissetta una piena cognizione ed una corretta valutazione dell’inesistente affidabilità di Scarantino». Un iter processuale, quindi, che già nel 1995 avrebbe avuto un esito diverso, se solo si fosse portato a conoscenza di quel verbale, il perno principale che avrebbe fatto decadere tutte le accuse senza arrivare fino al Borsellino Quater.

Fonte. Il dubbio

 

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