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Agli Ordini professionali non può applicarsi in automatico l’intera disciplina su pubblico impiego e contenimento di spesa

I giudici amministrativi del Lazio hanno annullato la circolare della Ragioneria Generale dello Stato, impugnata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, che aveva incluso gli Ordini professionali tra gli enti pubblici tenuti alla comunicazione dei dati relativi alla “consistenza del personale in servizio e in quiescenza” e alle “relative spese” ai fini del controllo della spesa pubblica.

Agli Ordini professionali non può applicarsi in automatico l’intera disciplina su pubblico impiego e contenimento di spesa

Il Tar del Lazio, con sentenza n. 14283/2022, ha annullato la circolare della Ragioneria Generale dello Stato, impugnata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, che aveva incluso gli Ordini professionali tra gli enti pubblici tenuti alla comunicazione dei dati relativi alla “consistenza del personale in servizio e in quiescenza” e alle “relative spese” ai fini del controllo della spesa pubblica.

Sulla base della decisione dei Giudici amministrativi non è obbligatorio per gli Ordini comunicare i dati concernenti la consistenza del personale e il relativo costo ai sensi dell’art. 60 del D.L.gs. 165/2001.

Il Tar, nel risolvere la controversia, ha osservato che l’art. 2, comma 2-bis, del D.L. n. 101/2013, stabilisce che “Gli ordini, i collegi professionali, i relativi organismi nazionali …, con propri regolamenti, si adeguano, tenendo conto delle relative peculiarità, ai principi del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 … e ai soli princìpi generali di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica ad essi relativi, in quanto non gravanti sulla finanza pubblica”.

Da tale disposizione – in base al ragionamento seguito dal Tar – discendono due principi:

  1. a) agli Ordini Professionali, benché enti pubblici non economici, non si applica in via automatica l’intera disciplina sul pubblico impiego ma solo i principi generali;
  2. b) agli Ordini Professionali non può applicarsi in via automatica neppure la generale disciplina sulla razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica.

Con riferimento al controllo della spesa del personale, “l’esclusione degli Ordini Professionali dalla disciplina sul controllo è reso ancora più evidente nella misura in cui si precisa, per legge, che essi si adeguano ai “principi” generali di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica, al ricorrere della duplice condizione che si tratti di “soli” principi o che tali principi siano “ad essi relativi”.

Spetta alla legge, pertanto, stabilire, di volta in volta, la disciplina applicabile agli Organismi professionali, come accaduto con il D.L. 101/2013, che, nell’ambito della politica di spending review, contiene una disciplina specifica sull’assunzione del personale e sulla variazione della consistenza del ruolo dirigenziale.

In tutti i casi in cui manca una disciplina ad hoc, ovvero in assenza di principi generali sul controllo della spesa pubblica, non ci si può sostituire al Legislatore che ha chiaramente indicato entro quali limiti gli Ordini professionali possono essere assoggettati al controllo della spesa.

Nella fattispecie – evidenzia il Tar – tali limiti sono stati superati “in violazione dell’art. 2, comma 2-bis, del d.l. n. 101/2013, che assoggetta espressamente gli Ordini ai soli “principi” del d.lgs. n. 165/2001 e non tout court all’intera disciplina e, come evidenziato, la normativa sul controllo della spesa pubblica non ha natura di principio ma, al contrario, costituisce un puntuale articolato normativo che conforma l’azione dell’amministrazione”.

In conclusione – osserva la sentenza – il Mef, estendendo agli Ordini la disciplina di cui al d.lgs. n. 165/2001 sul controllo della spesa pubblica sul personale degli enti pubblici, ha violato il “principio di legalità” in quanto vi ha ricompreso soggetti che, pur svolgendo funzioni di rilievo pubblicistico, non rientrano nella categoria degli enti pubblici sottoposti, per legge, al controllo sulla spesa poiché non finanziati con fondi pubblici.

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