Assegno unico e universale: una vera equità
Il 21 luglio scorso è stato approvato alla Camera il disegno di legge che prevede l’istituzione dell’assegno unico e universale per ogni figlio
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Se tutto va bene, con il prossimo anno, l’Italia avrà finalmente uno strumento più semplice e moderno che farà fare un passo avanti importante alle politiche per la famiglia di cui il Paese ha estrema necessità. Ma che cos’è l’assegno unico e universale? È un trasferimento in denaro dallo Stato alla famiglia per ogni residente di età compresa tra la nascita (per precisione l’assegno viene corrisposto già due mesi prima del parto) e il compimento del 21esimo anno di età. In questo senso è universale. È unico, invece, nel senso che va a incorporare e sostituire tutte le misure parziali che negli anni si erano affastellate, come detrazioni fiscali, assegni famigliari, bonus bebè, bonus famiglia domani etc…
Il voto pressoché unanime della Camera a favore della misura dovrebbe garantire che lo strumento non cambi al cambiare delle maggioranze di governo, come troppo spesso accade nel nostro Paese. Questo è fondamentale perché fare un figlio è una decisione che cambia la prospettiva economica di una famiglia per il lungo periodo e solo una norma comprensibile e credibilmente stabile nel tempo può contribuire a cambiare davvero le scelte delle persone. Rimangono tuttavia alcune perplessità. Innanzitutto va ricordato che l’approvazione di questi giorni è solo un primo passo, perché naturalmente la misura deve passare anche al Senato e poi dovrà seguire un lavoro di dettaglio da parte del governo sui decreti legislativi. E il diavolo, si dice, si annida proprio nei dettagli.
Un primo nodo da sciogliere sono le coperture finanziarie. Questa misura è in larga parte coperta dal riordino delle misure precedentemente esistenti: ci sono gli 8,2 miliardi del costo attuale delle detrazioni per i figli a carico, i 6 miliardi degli attuali assegni familiari pagati dall’Inps ai soli lavoratori dipendenti che sono in buona parte a carico della fiscalità generale e poi altre misure minori per un totale disponibile di poco più di 15 miliardi. Per ora la legge non parla e non quantifica le risorse aggiuntive da reperire. È evidente che qui si aprono scenari totalmente differenti: se alla fine si farà l’assegno senza reperire risorse aggiuntive, bisognerà fare per forza una misura fortemente progressiva che vada a beneficio solo delle fasce più deboli e così facendo alcune categorie quasi sicuramente ci rimetteranno (tra queste, le famiglie che dichiarano interamente le proprie entrate). Per fare una misura all’altezza dell’emergenza demografica che vive il nostro Paese occorrono almeno 10 miliardi aggiuntivi – la somma con la quale Renzi fece i famosi 80 euro.
Un secondo nodo critico è costituito dall’indicizzazione dell’importo dell’assegno all’Isee (Indicatore della situazione economica equivalente), all’età dei figli a carico e persino ai possibili effetti di disincentivo al lavoro per il secondo percettore di reddito nel nucleo familiare. Servirà probabilmente un algoritmo per calcolare l’importo, con tanti saluti alla semplicità e comprensibilità di un assegno davvero uguale per tutti che l’aggettivo unico potrebbe suggerire. Come ci ha insegnando proprio la misura degli 80 euro, la semplicità è fondamentale perché i cittadini recepiscano il cambio dell’incentivo.
Il terzo nodo concerne la progressività della misura. Il fatto che la legge ancori l’assegno all’indice Isee implica che l’assegno debba necessariamente calare al crescere del reddito fino al suo eventuale azzeramento. Questo aspetto della misura è ingiusto perché confonde l’equità orizzontale fissata dalla prima parte dell’articolo 53 della Costituzione, che prescrive che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva », con l’equità verticale prescritta dalla seconda parte dell’articolo, laddove recita che «il sistema tributario è informato a criteri di progressività». L’equità orizzontale si attua quando trasferiamo risorse a una famiglia con figli, che ha una più bassa capacità contributiva proprio perché ha dei figli da mantenere, da una famiglia senza figli, a parità di reddito dei due nuclei. In nome di questo principio nei Paesi dove vige l’assegno (Germania, Francia, Gran Bretagna, Austria, Svezia, Olanda etc) questi è flat, unico, uguale per tutti perché l’ammontare dipende solo dal numero dei figli e semmai cresce proprio in proporzione al numero dei figli.
L’equità verticale invece implica che due famiglie con lo stesso numero di figli, ma con reddito diverso siano tassate in maniera diversa. Per rispettare questo principio in Italia abbiamo le aliquote progressive dell’Irpef. Saremo probabilmente l’unico Paese a fare redistribuzione progressiva con l’assegno per i figli. Ma confondere la finalità dei due strumenti (aliquote progressive e trasferimenti per i figli) contraddice la promessa di equità orizzontale per il quale l’assegno è stato concepito. Infatti, se oltre una certa soglia di reddito l’assegno finirà per azzerarsi, questo implicherà che due nuclei familiari con uguale reddito, il primo con figli e il secondo senza, verranno tassati nella stessa misura. E questo è evidentemente iniquo perché le politiche di sostegno alla natalità e alla famiglia vanno fatte nei confronti di tutti i figli e di tutte le famiglie.
Questa misura tradisce quindi un’idea del ruolo delle famiglie e delle loro scelte procreative ben precisa che va combattuta. Per capirlo ci basti osservare che, contemporaneamente all’assegno unico e universale, è stato approvato definitivamente anche il decreto rilancio che rafforza ulteriormente dei vantaggi fiscali molto consistenti a favore di chi – tra gli altri – sta ristrutturando una villa o acquistando un bolide elettrico senza che vi sia nessuna ponderazione di questi vantaggi per il reddito del richiedente. Anzi, visto che gli immobili e le costose auto elettriche sono spesso nelle disponibilità delle fasce più ricche della popolazione questi trasferimenti sono probabilmente persino regressivi. Eppure sono approvati perché l’efficienza energetica è un investimento di cui beneficia la collettività a prescindere da chi lo effettua. Ma i figli non sono un investimento ben più importante per questo Paese? Se condividiamo l’idea che le nuove generazioni siano un bene comune alla cui creazione sono chiamati tutti i cittadini indipendentemente dal loro reddito, allora perché questa norma tratta i figli come un bene di consumo da (de)tassare progressivamente?
Queste criticità non ci devono scoraggiare. Prima dell’approvazione finale dei decreti attuativi c’è il modo e il tempo per semplificare molto la forma dell’assegno, auspicabilmente introducendo una base fissa, indipendente dal reddito dei genitori e uguale per tutti (ad esempio 150 euro al mese per figlio, come suggerito dal Forum delle associazioni familiari) più una parte variabile che dipenda dall’Isee e che per le fasce più povere può aggiungere ulteriori 100 euro. In questo modo si correggerebbero i difetti di una misura che – comunque va ricordato – rappresenta un buon passo avanti per le famiglie italiane.
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