Anno: XXVI - Numero 75    
Mercoledì 16 Aprile 2025 ore 14:30
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Barricate a Harvard. In università si apre un altro fronte di resistenza a Trump

Il presidente dell’ateneo spinto dai docenti e dal richiamo della Storia respinge i diktat al mondo accademico della Casa Bianca.

Barricate a Harvard. In università si apre un altro fronte di resistenza a Trump

: “Non rinunciamo alla nostra indipendenza”. Il sostegno di Obama, le nuove minacce trumpiane. Del Pero (Sciences Po): “La capitolazione della Columbia era stata umiliante. Ora, dopo i giudici, c’è un altro contropotere in campo”Per rendersi conto fino in fondo della gravità dello scontro tra l’amministrazione Trump e l’Università di Harvard vale la pena di leggere per intero lo scambio di lettere tra la task force nominata dal governo e i legali dell’ateneo presieduto da Alan Michael Garber. Da un lato, c’è il tentativo di commissionare, di fatto, un’Università accusata di non rispettare “le leggi federali sui diritti civili e intellettuali”, imponendo una serie di condizioni per “mantenere il rapporto finanziario con il governo”. Dall’altro, c’è il rifiuto dell’ateneo di “rinunciare alla propria indipendenza e ai propri diritti costituzionali”, nella convinzione che “né Harvard né alcuna altra università privata possa permettersi di essere assorbita dal governo federale”.

Il rifiuto – il primo così netto dall’inizio della crociata di Trump contro il mondo accademico – è stato immediatamente punito dall’amministrazione, che ha annunciato il congelamento di 2,2 miliardi di dollari in sovvenzioni pluriennali ad Harvard, insieme a un contratto da 60 milioni di dollari. Oggi, con un post su Truth Social, il presidente ha rincarato la dose, dichiarando che “Harvard, forse, dovrebbe perdere il suo status di esenzione fiscale ed essere tassata come un’entità politica, se continua a promuovere ‘malattie’ di ispirazione politica, ideologica e terroristica”. Ma per il presidente Garber – un uomo che, come vedremo, è difficile far passare per un pericoloso rivoluzionario – cedere al ricatto della Casa Bianca avrebbe comportato un prezzo ben più alto: la perdita di indipendenza di una delle università più prestigiose del mondo, ma soprattutto un pericoloso precedente di abuso di potere.

La lista delle richieste dell’amministrazione Trump, a sua volta, non aveva precedenti. Includeva l’effettuazione di “controlli antiplagio” su tutti i docenti, attuali e potenziali; la condivisione di tutti i dati relativi alle assunzioni con l’amministrazione Trump e l’accettazione di sottoporsi a verifiche sulle assunzioni durante “l’attuazione delle riforme”, almeno fino al 2028; la condivisione con il governo federale di tutti i dati relativi alle ammissioni, comprese le informazioni sui candidati respinti e ammessi, ordinati per razza, origine, media dei voti e rendimento; l’interruzione immediata di qualsiasi programma relativo a diversità, equità e inclusione; la revisione dei programmi accademici sospettati di antisemitismo.

“Nessun governo, a prescindere dal partito al potere, dovrebbe dettare cosa le università private possano insegnare, chi possano ammettere e assumere, e quali aree di studio e ricerca possano perseguire”, ha dichiarato Garber a sostegno della sua decisione. Una decisione che – ha lasciato intendere il presidente – è stata in pratica una scelta obbligata, date le richieste irricevibili della cosiddetta task force contro l’antisemitismo. La maggior parte di quelle richieste “rappresenta una regolamentazione governativa diretta delle ‘condizioni intellettuali’ ad Harvard […]. Tra queste, l’obbligo di ‘verificare’ i punti di vista del nostro corpo studentesco, docente e personale, e di ‘ridurre il potere’ di alcuni studenti, docenti e amministratori presi di mira a causa delle loro convinzioni ideologiche”.

Garber – che tra l’altro è ebreo – ha ricordato come il suo ateneo abbia già fatto molto per combattere l’antisemitismo e altre forme di intolleranza nella sua comunità, apportando “negli ultimi 15 mesi cambiamenti importanti” tra cui “l’irrogazione di sanzioni disciplinari agli studenti che violano le politiche universitarie, la destinazione di risorse a programmi che promuovono la diversità ideologica e il miglioramento della sicurezza”. È stato il corpo docente, in particolare, a spingere questo medico 70enne, esperto di politica ed economia della Sanità, a vestire i panni dell’anti-Trump per il mondo universitario. Il mese scorso oltre 800 docenti di Harvard hanno firmato una lettera che esortava l’università a “organizzare una opposizione coordinata a questi attacchi antidemocratici”. La presidenza, tra l’altro, era stata criticata negli ultimi mesi per una serie di azioni che, secondo i membri del corpo docente, erano state intraprese per placare Trump, tra cui l’assunzione di una società di lobbying con stretti legami con il presidente e l’espulsione dei dirigenti del Centro per gli Studi sul Medio Oriente.

Secondo Mario Del Pero, professore di Storia degli Stati Uniti all’Istituto di studi politici di Parigi Sciences Po e senior fellow di Ispi, “la decisione di Harvard è un punto di svolta”, che però non nasce dal nulla. Questa svolta “deriva dal fatto che è cominciata una mobilitazione dell’università e anche di attori politico-istituzionali per fronteggiare il tentativo dell’amministrazione Trump di commissariare, sostanzialmente, l’università, ovvero di porla sotto controllo imponendo condizioni molto problematiche (dalle verifiche sugli studenti all’ingerenza del governo nelle politiche accademiche). Quello che l’amministrazione Trump sta cercando di fare è davvero radicale ed estremo”.

Dal suo insediamento, a gennaio, l’amministrazione Trump ha preso di mira con aggressività le università, nell’ambito delle sue azioni per sradicare le politiche di diversità, equità e inclusione e quello che definisce un dilagante antisemitismo nei campus. L’amministrazione ha mostrato particolare interesse per una breve lista delle università più prestigiose del Paese. Hanno preso di mira prima la Columbia University, poi altri membri dell’Ivy League, tra cui Harvard. “La dichiarazione di Harvard rafforza la preoccupante mentalità di diritto acquisito che è endemica nelle università e nei college più prestigiosi del nostro Paese”, è stata la risposta della task force, pubblicata dalla General Services Administration.

Il mese scorso, dopo che l’amministrazione ha sottratto 400 milioni di dollari di fondi federali alla Columbia University, la Columbia ha accettato importanti concessioni richieste dal governo federale. Ha accettato di porre il suo Dipartimento di Studi mediorientali sotto una supervisione diversa e di creare una nuova forza di sicurezza composta da 36 “agenti speciali” autorizzati ad arrestare e allontanare le persone dal campus.

“La capitolazione della Columbia – afferma Del Pero – è stata umiliante, però anche in conseguenza di quella capitolazione altri atenei hanno cominciato a capire quali rischi stavano correndo e hanno iniziato a parlare con più forza. Lo hanno fatto il presidente di Princeton, poi il presidente di Wesleyan e quelli di altri atenei. C’è stata una mobilitazione dal basso, soprattutto del corpo docente nel caso di Harvard. Stiamo parlando di persone che possono permettersi più rischi di altre: se sono un docente di Harvard o un premio Nobel, posso espormi di più di quanto non possa fare uno studente palestinese come quelli che sono stati incarcerati nei provvedimenti di queste ultime settimane. Si è presa consapevolezza della portata del disegno autoritario di Trump. Le università sono istituzioni potenti, che hanno i loro donatori con cui possono, eventualmente, reggere la portata della sfida. I finanziamenti sono importantissimi, ma non sono gli unici”.

Lunedì è arrivato un altro segnale importante di reazione alle politiche di Trump: nove importanti università di ricerca e tre associazioni universitarie hanno fatto causa all’amministrazione per ripristinare i 400 milioni di dollari di finanziamenti che il Dipartimento dell’Energia ha dichiarato di aver tagliato la scorsa settimana. “Tutto questo – sottolinea Del Pero – sta avvenendo in un momento in cui anche altri soggetti cominciano a mobilitarsi”. Abbiamo visto nelle scorse ore l’intervento dell’ex presidente Barack Obama, in quella che è stata la sua prima presa di posizione pubblica forte contro l’amministrazione Trump. “Harvard – ha commentato Obama – ha dato l’esempio ad altre istituzioni di istruzione superiore, respingendo un tentativo illegittimo e maldestro di soffocare la libertà accademica e adottando misure concrete per garantire che tutti gli studenti di Harvard possano beneficiare di un ambiente di ricerca intellettuale, dibattito rigoroso e rispetto reciproco”.

Alcuni governi statali – ricorda Del Pero – sono intervenuti per rifiutare di dare corso alle politiche contro la discriminazione, l’eguaglianza e l’inclusività sollecitate dall’amministrazione. “Questi atenei sanno di non essere soli: ci sono governi statali e grandi donatori democratici che probabilmente sono anche disposti a mettere mano al portafoglio perché hanno le risorse per farlo. Siamo in un momento in cui, forse, vediamo emergere una forma di contropotere a quello dispiegato in modo così autoritario e radicale dall’amministrazione. Finora abbiamo visto solo il contropotere rappresentato dalle corti e dai tribunali; adesso a questo si unisce il contropotere del federalismo (i governi statali) e di soggetti e attori (nella fattispecie privati, come Harvard) che possono rispondere e andranno anche loro per vie legali. La partita è aperta, ma sembra che stiamo entrando in una fase nuova, dopo un primo tempo in cui il bulldozer del governo federale sembrava non incontrare ostacoli di nessun tipo”.

di  Giulia Belardelli su HuffPost

 

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