Ecco perché non si trovano stagionali
Ritorna puntuale il tormentone della carenza dei dipendenti. Ma sono gli accordi scaduti da anni, nero e grigio e le continue esternalizzazioni ad allontanare i lavoratori. E crescono le vertenze.
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Alberghi senza personale, ristoranti senza camerieri, stabilimenti balneari senza bagnini. Con l’arrivo dell’estate, puntuale, è tornato il tormentone della mancanza di dipendenti stagionali e dei giovani che «non vogliono lavorare». In un comparto che, però, da anni non rinnova i contratti nazionali, lascia chi lavora alle prese con l’inflazione che cresce, il potere d’acquisto che diminuisce e con una sacca permeabile a precariato e irregolarità.
Perché il turismo, gallina dalle uova d’oro dell’economia italiana, mostra anche una doppia faccia: attenta alle esigenze della clientela, indifferente al trattamento dei lavoratori. Il settore, che conta otto accordi nazionali in cui rientrano strutture ricettive, pubblici esercizi, agenzie di viaggio, aziende termali e stabilimenti balneari, si è preso una vacanza contrattuale. Nel dicembre 2018 è scaduto, senza essere stato ancora rinnovato, il contratto degli alberghi, nel settembre 2020 è toccato a quello delle agenzie, mentre più recenti sono le scadenze relative alla ristorazione e alle terme, arrivate rispettivamente nel dicembre 2021 e nel luglio 2022.
«Per quanto riguarda le strutture alberghiere l’accordo, scaduto nel 2018, venne siglato nel 2014, dieci anni fa. Le retribuzioni erano giuste all’epoca, quando l’inflazione stavo poco sopra lo 0 – spiega Monja Caiolo, membro della segreteria nazionale della Filcams-Cgil – dopo la pandemia, il caro energia, l’aumento dell’inflazione di alcuni punti percentuali, quelle retribuzioni sono inadeguate».
Ma non sono solo i salari a preoccupare. Nell’aprile 2023 l’Ispettorato del lavoro ha condotto un controllo straordinario in tutta Italia su 445 aziende tra turismo e pubblici esercizi e ha scoperto che il 76% di queste, 338 in totale, è irregolare a livello contrattuale e di sicurezza, con picchi del 98% di irregolarità al Sud e del 78% al Nord-Ovest. Un dato che non preoccupa Alessandro Nucara, direttore generale di Federalberghi: «Il comparto conta 300 mila imprese. Se su un campione di 455 si sono trovate così tante situazioni di irregolarità significa che si è alzata anche la qualità del lavoro dell’Ispettorato. Non si può credere che il 76% delle nostre aziende sia irregolare».
I dati dell’Ispettorato fanno riferimento non solo al lavoro nero, ma anche a quello grigio, diffuso soprattutto negli impieghi stagionali. In Toscana, nei mesi di settembre e ottobre, si registra «un boom di vertenze legato al mondo del turismo, stabilimenti balneari e bar. Dipendenti che lavorano 40 ore settimanali, nonostante contratti part-time a 20 ore – racconta Stefano Nicoli, segretario della Filcams Toscana – quando vanno a chiedere la disoccupazione (Naspi) si rendono conto di essere stati sfruttati, perché il corrispettivo viene calcolato sulle 20 ore contrattualizzate».
Nel Veneto che ha toccato quota 72 milioni per presenze turistiche «il 40% delle ore lavorate nel settore si configura come lavoro grigio», spiega Cecilia De Pantz, segretaria Filcams nella regione. In pratica, «possiamo dire che se un lavoratore portasse a casa circa 1.500 euro al mese, il 40% dei quali in nero, il valore del suo assegno mensile derivante dalla Naspi rischierebbe di oscillare nella realtà tra i 300 e i 600 euro quando potrebbe arrivare, se il suo stipendio fosse stato pagato per intero, a 900 euro».
La mentalità dei lavoratori, però, «sta cambiando proprio tra i più giovani che non sono più disposti a sottostare a queste condizioni. È questo uno dei motivi principali per cui le aziende trovano sempre meno lavoratori stagionali», spiega Maurizio Magi, segretario Filcams a Firenze: nel 2023 quasi 800 vertenze, di cui «più della metà riguardano alberghi e pubblici esercizi». In Sardegna, dati 2023, 250 vertenze legate al settore, il 65% del totale delle pratiche seguite dalla Cgil.
C’è poi il capitolo delle esternalizzazioni che regolano alcuni servizi degli hotel tra cui il rifacimento delle camere. La ditta in appalto applica un contratto pirata, o uno meno oneroso, oppure «si sposta in uno spazio di irregolarità dove si applica la formula del cottimo – racconta Cajolo – in cui lo stipendio pieno viene riconosciuto in base al numero di stanze pulite». Spesso con paghe da fame.
«Qualche settimana fa abbiamo iniziato le pratiche per una decina di vertenze in un hotel di lusso del centro fiorentino, dove le camere costano più di 500 euro a notte», spiega Magi. «Lavoratori e lavoratrici, in maggioranza stranieri, a cui vengono dati 30 minuti di tempo per pulire una stanza. Se impiegano 15 minuti o mezz’ora in più, gli straordinari che spetterebbero loro non vengono corrisposti». Quattro anni fa una sentenza del Tribunale di Firenze ha obbligato un’azienda appaltatrice a corrispondere la differenza rispetto al contratto nazionale del turismo, perché è stata ritenuta illegittima l’applicazione del cottimo e di altri accordi pirata con tabelle salariali più basse.
La reinternalizzazione di questi servizi è un tema che il sindacato ha proposto alle controparti. «Nessuno di noi ha detto di no», puntualizza Nucara. Ma sono gli stessi alberghi a «decidere il modello organizzativo» e sono quindi responsabili di appaltare a ditte esterne, penalizzando i lavoratori. «L’esternalizzazione ottimizza le risorse, ma guardando solo al costo si perde in qualità. Il periodo in cui tutti esternalizzavano sta arrivando a una svolta e alcuni hanno già deciso di reinternalizzare», conclude Nucara. «Tuttavia, così come ci sono voluti vent’anni per portare tutto fuori, è possibile che ce ne vogliano altri venti per riportare tutto dentro».
Sindacati e associazioni di categoria che rappresentano le strutture ricettive si sono rimessi al tavolo per cercare di trovare un accordo e rinnovare i contratti nazionali. L’estate 2024 potrebbe essere quella in cui la vacanza contrattuale, dopo quasi 70 mesi, finirà. A sperarlo sono soprattutto i lavoratori che finora ne hanno fatto le spese.
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