Evviva Mattarella, certo, ma che grave danno alla democrazia italiana
Siamo giustamente felici perché poteva finire male, invece è finita con un gran signore al Colle. Ma paghiamo un costo molto alto per questa anomalia
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Quella del 29 gennaio non è stata una bella giornata per la democrazia italiana. La quasi totalità dei partiti, la maggioranza degli italiani, i mercati, l’Europa e gli alleati internazionali gioiscono ed esultano per il risultato di una profonda e grave anomalia di sistema. Siamo tutti felici e sollevati per la rielezione di Sergio Mattarella, un servitore dello Stato di impareggiabile competenza e umanità, ma il costo per nulla invisibile di questo esito è la forzatura, per la seconda volta in nove anni (sette ne dura un mandato presidenziale), della Costituzione, che pur non vietando esplicitamente l’incarico rinnovato, lo osteggia nello spirito, poiché il capo dello Stato è una figura di garanzia che già attraversa più legislature e non deve essere soggetto, neanche per sospetto, a possibili interessi personali ed elettorali.
Nel 2029, se il presidente vorrà e si sentirà di rispettare il pieno settennato, una sola persona sarà stata continuativamente al vertice delle istituzioni per consecutivi quattordici anni. Fortuna, ma anche una notevole dose di pesi, contrappesi e veti incrociati (una sorta di mano invisibile politica che ha portato al miglior compromesso possibile), hanno voluto che questa persona fosse di rettitudine e senso dello Stato assoluti. Ma con tale precedente, con una eccezione (la rielezione di Napolitano nel 2013) che diventa prassi (oggi), possiamo assicurare per il futuro che non si verificheranno di nuovo situazioni simili, e che, se si verificheranno, saranno sempre ri-elette al Quirinale figure di così alto profilo?
Abbiamo pagato un costo molto alto per questa anomalia. Non solo l’incapacità delle forze politiche di trovare un accordo su un nome che potesse rappresentare tutti in maniera “super partes” (poi uno ci pensa meglio e si chiede: davvero su molte decine o centinaia di candidabili non si è riuscito a individuare un/una presidente al di fuori del bis?), non solo quindi una crisi che prosegue da lustri, con partiti che hanno di fatto abdicato alla loro funzione di mediazione degli interessi pubblici e sono preda esclusiva di tornaconti elettorali (e intanto l’astensionismo vola a livelli da record), ma anche e soprattutto la rottura del patto costituzionale attraverso la richiesta del sacrificio privato del presidente.
Il dovere, si dice, e lo ha detto Mattarella stesso nella breve dichiarazione di accettazione del secondo mandato, prevale sulle aspettative personali. Verissimo, così parla un uomo delle istituzioni. Ma l’emergenza continua, di cui anche questa ammissione si alimenta, non può che finire con l’eroismo implicito e quindi con l’ulteriore personalizzazione della figura terza più alta di tutte. Il messaggio della rielezione è diventato “non possiamo fare a meno di Mattarella”, che è molto diverso dall’ “abbiamo bisogno di un presidente di altissimo profilo” e via dicendo. Più ci ripetiamo, a volte con coscienza, molte più volte come un mantra per rimuovere ed esorcizzare la realtà, che siamo in emergenza, e più ci stiamo condannando a perpetuare la crisi perché a problemi eccezionali rispondono soltanto soluzioni altrettanto eccezionali.
La crisi è profonda, perché non è solo la seconda rielezione del presidente della Repubblica in nove anni, è anche un Parlamento dilaniato che solo sotto l’effigie di Mario Draghi riesce a esprimere una maggioranza che sembra stabile (lo era, lo sarà?). In quattro anni, le stesse forze politiche dimostratesi incapaci di trovare un solo nome all’altezza del Colle al di fuori di Mattarella, hanno espresso maggioranze di destra, di sinistra e adesso di centro, non perché questa sia di centro in senso necessariamente politico ma perché il baricentro di fatto lì si colloca. Anche Mario Draghi, un anno esatto fa, fu salutato come il salvatore della patria, chiamato dal presidente a rimettere in riga i partiti bizzosi e inconcludenti mentre la pandemia dilagava. Lo stallo è sempre lo stesso, la soluzione è sempre esterna, un commissariamento permanente che nasconde sotto il tappeto sia l’inettitudine di larga parte della classe politica, sia le contraddizioni di un sistema partitico ormai esploso, specchio di una politica spettacolarizzata e vuota.
E così, siamo giunti all’esultanza dei leader nell’Emiciclo, al superamento della soglia dei 505 voti che ha incoronato Mattarella di nuovo presidente. L’unico esito che avrebbe dovuto essere scongiurato, il solo davvero lesivo dello spirito della Costituzione (ben più, a rifletterci onestamente, degli allarmi esagerati per una potenziale elezione del vertice dei servizi segreti), è stato rivendicato come una vittoria, un successo di cui andare fieri. Sorge il dubbio se si tratti più di ineleganza o davvero di totale scollamento dalla propria realtà. Non ha senso riconoscere “le difficoltà” (eufemismo molto in voga) se non c’è un reale impegno a rinsavire. Vale per tutti, per le persone e per le associazioni politiche. Altro che difficoltà, si è consumato un grave danno alla democrazia italiana, ma tutti esultano, noi cittadini per primi, i mercati, l’Europa. Siamo giustamente felici perché poteva finire male, invece è finita con un gran signore al Colle. Ma la stabilità di breve termine non deve essere oltremodo sopravvalutata, non deve monopolizzare il nostro bisogno di sicurezza tra bollette e pandemia. Occorre trovare il modo di gestire e le bollette e l’elezione sana del capo dello Stato. Altrimenti la crisi diventa una comoda culla invece che uno stato patologico da cui, prima o poi, guarire.
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