Federprivacy. Calo di attenzione da parte di imprese e professionisti
La denuncia nel corso dell’8°Privacy Day
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Poco più di un anno fa i temi della privacy ebbero una straordinaria risonanza mediatica grazie al “pacchetto protezione dati” varato dall’Unione Europea con il GDPR entrato pienamente in vigore il 25 maggio 2018, e in quel periodo si era visto un grande interesse da parte di imprese e professionisti, ma quello che emerge adesso all’ottava edizione del Privacy Day Forum organizzato da Federprivacy al CNR di Pisa, è “che in seguito c’è stato un calo di attenzione” – come ha rilevato Giuseppe Busia, segretario generale del Garante per la protezione dei dati personali – “e questo non è nella logica del nuovo Regolamento UE, che non prevede un adempimento ‘una tantum’, ma richiede una manutenzione continua in un cammino che si fa di giorno in giorno, e quindi c’è qualcosa da recuperare sotto questo profilo”, ha sottolineato Busia nel suo intervento di apertura. Se il GDPR ha introdotto nuovi diritti per i cittadini, è anche vero che ha favorito nuove opportunità nel mondo del lavoro per gli esperti della materia, tuttavia secondo l’Osservatorio di Federprivacy “i professionisti che si informano regolarmente sulla materia risultano circa 18mila, numero di gran lunga inferiore rispetto alle oltre 48.500 comunicazioni di nomine di data protection officer ricevute dal Garante” – ha spiegato Nicola Bernardi, presidente della principale associazione di riferimento del settore – “E se il 62% degli addetti ai lavori non si tengono aggiornati rispetto a temi che sono in continua evoluzione come quelli della protezione dei dati, questo si traduce inevitabilmente in una scarsa preparazione da parte delle aziende che mette a rischio la tutela della privacy degli utenti”. Se il quadro tracciato al forum annuale di Federprivacy a distanza di un anno dal GDPR non è proprio confortante, il segretario dell’Authority Busia ha comunque spronato gli oltre duemila spettatori a lavorare per i prossimi anni per promuovere la cultura della privacy “guardando agli interessi degli utenti, che sono sempre più attenti, e quindi un’applicazione della norma nella logica del ‘pezzo di carta’ avrebbe respiro corto e metterebbe fuori dal mercato le aziende, e questo non converrebbe neanche ai data protection officer, perché il loro lavoro finirebbe per esaurirsi e diventare presto superato”. Per professionisti ed aziende occorre quindi rimboccarsi le maniche, e non solo per il mero rispetto di una norma burocratica, ma perché “la protezione dei dati personali e il GDPR sono un pilastro fondamentale di in sistema regolatorio complesso, essenziale per lo sviluppo della economia digitale nell’UE, e al centro c’è la necessità di trovare l’equilibrio fra tutela delle libertà e dei diritti delle persone e la libera circolazione dei dati in tutta la Unione”, ha spiegato il giurista ed ex Garante Francesco Pizzetti, che ha ribadito come lo stesso GDPR sia “fondamentale per completare il Digital Single Market e consentire all’Unione Europea di competere da posizione forte con gli altri attori globali, come Cina e USA nella corsa allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, dell’Internet of Things, degli scambi e della produzione di beni e servizi nella età del digitale”. Mentre i colossi del web continuano dunque ad aumentare i loro profitti grazie alla pubblicità online basata sulla profilazione dei gusti e delle preferenze degli utenti, (basti pensare che nel 2018 il duopolio Google-Facebook ha rappresentato il 58% del totale della spesa pubblicitaria digitale negli Stati Uniti), le nostre imprese corrono invece il concreto rischio di sprofondare sempre di più in una progressiva perdita di competitività per non saper cogliere le opportunità del mercato digitale, anche se non è tutto oro quello che luccica. Ad evidenziarlo al Privacy Day Forum è stato Alessandro Acquisti, professore di Information Technology e Public Policy all’Heinz College della Carnegie Mellon University, che ha presentato i suoi ultimi studi condotti insieme a Veronica Marotta e Vibhanshu Abhishek, nel corso dei quali sono state monitorate per una settimana milioni di transazioni pubblicitarie presso i siti online di una grande azienda statunitense, dimostrando che gli annunci promozionali basati sui cookies di profilazione generano solo il 4% in più di entrate rispetto ad altre forme di pubblicità online che non utilizzano tecniche di tracciatura dell’utente. “È difficile capire quanto valore ogni partecipante nell’ecosistema degli annunci online stia aggiungendo al processo, e se le commissioni che gli intermediari ricevono siano realmente commisurate al loro valore aggiunto”, ha affermato Acquisti. Anche se serviranno ulteriori ricerche per verificare quanto sia realmente conveniente per un’azienda investire in campagne pubblicità online che analizzano i profili degli utenti spesso in modo poco chiaro, “sta di fatto che uno degli scopi dell’introduzione del GDPR è stato quello di creare un clima di fiducia per il pieno sviluppo del mercato digitale nell’Unione Europea – ha ricordato Bernardi – “e puntare su princìpi cardine del Regolamento UE come quello della trasparenza e quello della privacy by design e by default può di certo contribuire ad aumentare notevolmente la reputazione di un’impresa che opera su Internet, attirando a sé un numero sempre maggiore di utenti, che sono sempre più alla ricerca di servizi che proteggano i loro dati personali.”
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