I due giganti della storia politica italiana sotto la lente del prof. Simonetta e del dott. Panarari
«Lo diceva anche Cossiga: il vero italiano più simile a Guicciardini che a Machiavelli»
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«Lo ricordava spesso anche il Presidente Cossiga: l’Italia è formata più da Guicciardini che da Machiavelli. E in effetti il vero italiano è più simile ad uno degli uomini politici più influenti del suo tempo, che pensava in primis ai propri interessi (il famoso particulare dallo stesso teorizzato quale finalità che l’uomo deve avere come obiettivo, ndr) e cadeva sempre in piedi; mentre l’autore de Il Principe, geniale ma un po’ bislacco, nella sua vita prese diversi e robusti “schiaffi” perché meno attento al tornaconto personale». Così Marcello Simonetta ha concluso la conversazione dell’autore dei volumi dedicati «a due giganti della storia politica, non solo italiana» (“Tutti gli uomini di Macchiavelli”, Rizzoli, e “Francesco Guicciardini tra autobiografia e storia”, Ronzani Editore) con il sociologo ed editorialista de La Stampa Massimiliano Panarari (intervenuto in videocollegamento), conversazione che si è tenuta al PalabancaEventi di via Mazzini per l’ultimo appuntamento con l’Autunno culturale della Banca di Piacenza. I due relatori sono stati presentati dal condirettore generale dell’Istituto di credito Pietro Coppelli.
Solleticato dalle puntuali domande del dott. Panarari, il prof. Simonetta (docente e scrittore, autore dei libri strenna della Banca del 2020 e del 2021) ha – con la consueta verve – intrecciato le storie dei due personaggi, che in qualche modo furono anche amici. Un’amicizia definita dal biografo toscano «sproporzionata», nel senso che era un rapporto dispari: «Guicciardini nutriva una forma di ammirazione-invidia per Machiavelli e comunque, fra i due, l’amicizia c’era ma senza affetto».
Nato nel 1469 da una famiglia della medio-bassa borghesia fiorentina, Machiavelli (descritto nel libro attraverso 23 ritratti di suoi amici, di suoi nemici e di un’amante) a 26-27 anni viene cooptato dal Governo repubblicano di Firenze. «Della sua infanzia si sa pochissimo, ma due fatti lo colpiscono – ha raccontato il prof. Simonetta -: a 9 anni percepisce cosa sia la violenza assistendo alla congiura dei Pazzi, con il tentativo, fallito, di uccidere Lorenzo il Magnifico; nel 1494, come conseguenza dell’invasione dell’esercito del Re di Francia Carlo VIII alla conquista di Napoli, avviene la prima cacciata dei Medici da Firenze, provocata da Savonarola, che viene descritto nella prima lettera di Machiavelli del maggio 1498 come “profeta disarmato”, poco prima di finire al rogo. Il Nostro entra quindi in servizio nella Repubblica fiorentina e per 15 anni sale rapidamente la scala gerarchica: da 2° cancelliere ad ambasciatore, fino a che i Medici tornano a bussare alla porta di Firenze, non proprio in maniera gentile. Machiavelli viene licenziato e poi accusato di aver partecipato alla congiura Boscoli. Arrestato, resiste alle torture e proclamandosi innocente non può essere giustiziato. La fortuna vuole che nel 1513 Giovanni de’ Medici viene eletto Papa e per festeggiare a Firenze scatta un’amnistia che lo fa scarcerare. Trovandosi senza lavoro, inizia a scrivere Il Principe». Il docente ha quindi trattato l’aspetto umano del fondatore della scienza politica italiana: «Non era, come è stato dipinto, uomo gelido e calcolatore (il machiavellismo va distinto da Machiavelli); pieno di passioni, era sposato con Marietta Corsini (una delle donne più cornificate di Firenze), che gli ha dato 10 figli, 7 dei quali sopravvissuti all’infanzia. E’ stato padre attento, ma frequentava abitualmente cortigiane e prostitute. Cinquantenne, si era innamorato di Barbara Salutati, giovanissima cantante, semi cortigiana, quindi amante infedele».
Guicciardini era molto diverso da Machiavelli: più antipatico, quarto figlio di una dinastia nobile fiorentina, lavora al servizio dei Medici e diventa governatore prima di Reggio Emilia, poi di Modena e quindi presidente della Romagna. E’ stato uomo di punta di Clemente VII (Giulio de’ Medici) e si è sempre sentito in colpa perché si riteneva responsabile del Sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi mandati da Carlo V (che odiava il Pontefice)». Geniale – a parere del prof. Simonetta – l’opera di Guicciardini “L’accusatoria”, nella quale si mette alla gogna immaginando un’orazione del suo peggior nemico.
Al termine dell’interessante incontro, gli intervenuti hanno ricevuto in dono dalla Banca i volumi e l’autore si è volentieri prestato al rito del firma-copia.
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