Il Festival dell’Ingegneria fa il pieno: “Un successo nato dalla passione dei nostri ragazzi”
Milano, si chiude la grande rassegna con oltre 12mila presenze.
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“In una Milano piena di week, mancava quella dedicata all’ingegneria: l’abbiamo inserita tre anni fa, sta crescendo e in futuro ci piacerebbe invitare anche le nostre università partner in Europa”. Donatella Sciuto è rettrice del Politecnico di Milano.
Perché l’ingegneria ha bisogno di un suo festival?
“Per riunire i nostri ricercatori, i nostri ragazzi e metterli a loro volta davanti alla sfida di raccontare ai cittadini, dai 5 ai 90 anni, quello che fanno, trasmettendo la loro passione: non è mai troppo tardi per innamorarsi della scienza”.
Come si inserisce nel calendario milanese?
“C’è l’Arch week, che viene dal nostro Festival dell’Architettura, c’è la Digital week. Ora tocca all’ingegneria, termine che non racconta qual è il mestiere se non lo vedi. Così abbiamo deciso di mostrarlo aprendo i nostri laboratori”.
Quest’anno ci sono le parentesi graffe attorno alla seconda “i” di ingegneria: il termine ingegnera è stato sdoganato non solo dall’Accademia della Crusca ma timbrato anche dall’Ordine degli Ingegneri. Una piccola svolta?
“Le parole hanno un senso. Come diceva Ludwig Wittgenstein: ‘I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo’: se io non ho la parola non ho il mondo. La parola racconta chi siamo. Prima ce la cavavamo lo stesso, per carità, ma credo sia un passo in più per sdoganare il fatto che il genere non è rilevante nella professione”.
Negli ultimi bandi Pnrr ricorre una percentuale: il 40% dei nuovi ricercatori reclutati deve essere donna. Non è tanto una questione di “quote”. Come dare le stesse opportunità in partenza per fare emergere il talento?
“Nelle materie tecnologiche come l’ingegneria, in quasi tutti i corsi, la percentuale di studentesse è sotto il 40% del totale. È evidente che poi la percentuale di ricercatrici non possa essere più elevata. Il tema allora è allargare la “base“, fare in modo che, anche con iniziative come questa, le ragazze si appassionino prima dell’università alla tecnologia, uno strumento che può supportare la ricerca di soluzioni alle grandi sfide che abbiamo davanti, da quelle climatico-ambientali a quelle sociali ed economiche”.
Lei ha creato il progetto Pop, Pari Opportunità Politecniche: qual è la situazione oggi?
“È un progetto che continuerà sempre perché richiede di essere curato. E non è solo una questione di genere. Abbiamo un focus sulla disabilità, per avere spazi più accessibili in ateneo. Non tutti lo sono perché ci sono edifici storici, creati quando nessuno si preoccupava del tema. È uno degli investimenti oltre a quello per fornire strumenti di supporto a chi vuole studiare e ha difficoltà. C’è poi il tema dell’integrazione delle diverse culture: la conoscenza consente il rispetto e l’accettazione l’uno dell’altro. E c’è il tema delle persone Lgbt”.
Carriera alias?
“C’è già, la abbiamo migliorata, con un percorso più semplificato. E continueremo a trovare strumenti necessari affinché tutti si sentano a loro agio. Un altro aspetto per garantire pari opportunità è il supporto psicologico, che abbiamo potenziato”.
In un Politecnico pronto ad ampliarsi anche nell’area Bovisa-Goccia, qual è la sfida?
“Far crescere i giovani: perché la ricerca è importante per rispondere alle sfide più pressanti della società. La tecnologia può essere un fattore abilitante per avere un impatto. Lavoriamo quindi per continuare a sviluppare nuovi laboratori, ma questi laboratori devono avere dottorandi, ricercatori giovani che continuino il lavoro iniziato nel 1863 al Politecnico”.
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