Il gas torna a far paura alle imprese, grandi e piccole.
Le aziende gas intensive avevano scritto alla Commissione Ue per chiedere di prorogare gli accordi di transito: il rischio è perdere competitività sui mercati. In Italia si mobilitano Confindustria e Confapi.
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La veste del profeta di sventura la indossa Robert Fico. Il premier slovacco prefigura “drastiche conseguenze” dallo stop del flusso del gas russo attraverso l’Ucraina. Il transito proseguito anche dopo lo scoppio della guerra per le intese siglate prima dell’invasione scatenata da Mosca contro Kiev si è interrotto quando in Italia erano le 6 del mattino del primo giorno dell’anno. Gli accordi di transito quinquennale tra il colosso russo Gazprom e l’ucraina Naftogaz non sono stati rinnovati con l’inizio del nuovo anno. La chiusura della rotta pone fine al tubo Urengoy-Pomary-Uzhgorod che per cinquant’anni è stato fondamentale per le forniture di gas in Europa. Tutto previsto, tutto atteso.
Da mesi si discute della volontà del governo ucraino di fermare il flussi. Nell’ottica di Kiev un modo per sottrarre mercati e arrecare perdite finanziarie all’invasore. “L’Europa ha già deciso di eliminare gradualmente il gas russo, e questo si allinea con ciò che l’Ucraina ha fatto oggi”, ha commentato il ministro dell’Energia ucraino, Herman Halushchenko, benché per Kiev lo stop voglia dire circa un miliardo di introiti in meno in diritti di transito. “Di positivo c’è che l’Ue oggi è in una situazione ben diversa rispetto all’autunno del 2022”, scriveva a ottobre l’Ispi, ricordando le ripercussioni sui costi dell’energia delle sanzioni contro Mosca per l’invasione scatenata a febbraio. Il quadro del 2024 è fatto di stoccaggi pieni, di più rigassificatori cresciuto e di nuovi fornitori, il gas liquefatto in arrivo dagli Stati Uniti – il cui prezzo è però raddoppiato – e dal Qatar, cui si aggiungono le forniture azere. “Detto questo, il 18% del gas importato dall’Ue arriva tutt’ora dalla Russia.
A rischio è circa il 6% dell’approvvigionamento energetico: sembra poco, ma potrebbe far crescere prezzi già più alti che in passato”, aggiungeva l’istituto milanese.
La Commissione europea ostenta tranquillità. Le preoccupazioni di Fico, volato al Cremlino poco prima di Natale per tentare di strappare una intesa con Vladimir Putin, sono invece le stesse della Spp, principale fornitore di gas slovacco. Timori soprattutto finanziari. Sostituire i flussi della Federazione con altri provenienti da altri Paesi comporterà un aumento dei costi di almeno 90 milioni, ha spiegato a caldo l’operatore. A metà dicembre l’azienda aveva fatto un tentativo in extremis per portare la Ue sulle proprie posizioni. Con una lettera alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, chiedeva soluzioni per garantire il rinnovo del transito attraverso l’Ucraina anche con l’inizio del 2025. Non una posizione solitaria. La missiva era sottoscritta dall’ungherese Mvn. Con la Slovacchia, l’Ungheria del premier Viktor Orbán è il Paese più dipendente dal gas russo. Ma a firmare l’appello sono state anche l’austriaca Tso e per l’Italia Gas Intensive, l’organizzazione confindustriale che riunisce 135 imprese energivore.
Nella newsletter di dicembre, quando ancora lo stop non era ancora stato ufficializzato, l’associazione lamentava le fluttuazioni del mercato legate all’incertezza: “Notizie favorevoli hanno ridotto i prezzi fino al 15%, mentre i rischi di blocco hanno portato a un aumento del prezzo del 42% rispetto a settembre 2024”. Gas Incentive paventava quindi, in caso di interruzione del transito, prezzi del gas a “livelli critici” con effetti “dirompenti per la competitività e, in questa fase, per la stessa sopravvivenza delle imprese gas intensive”.
Sfumato il mantenimento del transito del gas attraverso le tubature ucraine, per le energivore occorre ora che il governo attui in modo quanto più rapido le misure del decreto cosiddetto Gas release per mettere al riparo le aziende dai rialzi dei prezzi. Il gas ha chiuso il 2024 con un guadagno annuo del 51% e alla vigilia del primo dell’anno, il TTF, il gas scambiato ad Amsterdam, si aggirava attorno ai 50 euro megawattora, contro i 22 circa dello scorso marzo e i 15 euro pre-guerra.
Quello dei costi dell’energia per le imprese italiane è uno dei grandi crucci di Confindustria. “Sappiamo bene di pagare più della media europea” ripete da tempo Emanuele Orsini, presidente degli industriali italiani. Secondo Viale dell’Astronomia, il differenziale è a sfavore della penisola rispetto a tutti i principali partner europei. Il centro studi Cresme, a luglio, faceva alcuni conti sul costo medio nell’ultimo biennio dell’energia per usi produttivi. Per l’Italia, nel 2022, il prezzo medio per chilowattora è stato superiore a 35 centesimi di euro, quasi dieci centesimi in più di quanto le attività produttive hanno pagato in Spagna e in Germania, 20 in più delle concorrenti francesi. La situazione migliora soltanto di poco se dal prezzo si escludono Iva e accisa. Ma la spesa supera sempre quella dei partner Ue e si ì confermata elevata rispetto al computo per imprese tedesche, spagnole e francesi anche nel 2023. Pur passato il picco dei prezzi energetici, il costo dell’energia si è mantenuto a quota 29 centesimo per chilowattora. Differenze che influenzano il costo della manifattura e dell’export, sebbene in alcuni casi la struttura manifatturiera dei singoli Paesi e l’efficienza possano mitigare le ripercussioni. A lanciare l’allarme non è solo Confindustria ma anche Confapi, l’associazione che rappresenta le piccole e medie imprese: “Emerge oggi come non mai – dice il presidente Cristian Camisa – la necessità di una gestione efficace della crisi da parte della nuova Commissione Europea e della presidenza polacca del Consiglio dell’Unione Europea per affrontare le sfide urgenti legate alla sicurezza energetica dell’Ue e dell’Europa. Ma anche il Governo italiano non deve sottovalutare le potenziali conseguenze. Con il prezzo del gas che in Italia si appresta chiudere a ridosso dei 50MWh – conclude Camisa – credo che il Governo debba porsi la questione di come sostenere quelle realtà produttive come le PMI industriali escluse da quelle misure di supporto recentemente varate a beneficio degli energivori”.
Lato consumatori le ripercussioni delle tensioni geopolitiche e di un gennaio atteso più freddo del solito in Germania e Francia, con conseguente aumento della domanda di gas, sono state calcolate dall’Arera. Benché l’Italia conti su ampi stoccaggi e la situazione sia meno problematica di quella in Slovacchia o Ungheria, l’autorità di regolazione per energia reti e ambiente vede per il primo trimestre dell’anno un aumento del 18,2% della bolletta elettrica per i clienti in maggior tutela.
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