Anno: XXV - Numero 197    
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Il Governo attenua il colpo dei licenziamenti liberi con la cassa Covid fino a febbraio

Tutte le imprese potranno chiedere la nuova cig per 9 settimane dal 16 novembre al 28 febbraio. Chi lo farà non potrà licenziare

Il Governo attenua il colpo dei licenziamenti liberi con la cassa Covid fino a febbraio

Il passo scivoloso del liberi tutti sui licenziamenti ha bisogno di una contromisura robusta. Perché se è vero che Confindustria vuole avere le mani libere dal primo gennaio e sia il Pd che i 5 stelle sono convinti che una proroga del blocco non è più sostenibile, è altrettanto vero che il conto – economico, sociale e politico – rischia di essere comunque assai elevato e scottante per il Governo. La Cgil parla di un milione di posti di lavoro in meno con la ripresa dei licenziamenti che scatterà dal primo gennaio. Un’ecatombe lavorativa di fatto. Ecco allora che la contromisura dell’esecutivo matura nella convinzione che il colpo va necessariamente attutito. Come? Con nove settimane aggiuntive di cassa integrazione Covid per tutti, fino a febbraio. Se le aziende prenderanno la cassa non potranno licenziare.

Lo schema prevede di fatto una riproposizione, seppure con meno tutele, di quel doppio binario che ha accompagnato il mondo del lavoro dall’inizio dell’emergenza a oggi e che arriverà fino a fine anno: da una parte la cassa Covid, dall’altra il blocco dei licenziamenti. Dal primo gennaio si potrà ritornare a licenziare, ma le aziende potranno contare, fino al 28 febbraio, ancora sulla cassa integrazione pagata dallo Stato. Il sostegno è di fatto un disincentivo a mandare i lavoratori a casa e, letto al contrario, un incentivo a tenerli occupati, seppure in cassa integrazione.

La nuova tranche di cassa Covid sarà di nove settimane. Nella bozza del testo relativo alla misura, che Huffpost è stato in grado di consultare, si legge che i datori di lavoro che sospendono o riducono l’attività lavorativa a causa dell’emergenza Covid possono presentare domanda per accedere alle tre forme di cassa Covid (cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario e cassa integrazione in deroga) “per una durata massima di nove settimane”. Le nove settimane, recita ancora il testo, “devono essere collocate nel periodo ricompreso tra il 16 novembre 2020 e il 28 febbraio 2021″. Il sostegno sarà quindi retroattivo, potrà cioè essere richiesto a partire da metà novembre. E questo perché le trentasei settimane che sono state messe in campo da marzo in poi termineranno il 31 dicembre, ma alcune aziende arriveranno alla canna del gas già a metà novembre avendo usufruito dell’ultima tranche di 18 settimane in modo continuativo dal 13 luglio.

Il termine ultimo per usufruire della nuova cassa Covid è fissato al 28 febbraio. Se un’azienda, quindi, la userà fino a quella data potrà tornare a licenziare solo a partire dal primo marzo. Fino ad allora, invece, i lavoratori avranno la tutela della cassa. L’allungamento della coperta riguarda tutte le imprese e questo segna un cambio di orientamento nelle convinzioni del Governo che fino a qualche giorno fa pensava di prevedere 18 settimane di cassa Covid solo per le aziende dei settori più in crisi, cioè ristorazione e turismo. Il periodo si accorcia a nove settimana, ma riguarda tutti, e questo elemento offre quindi una tutela maggiore in termini di impossibilità di licenziare. Ovviamente è una tutela potenziale perché le aziende potrebbero decidere di non richiedere la cassa e di licenziare, ma il meccanismo disincentivante è comunque forte e in grado di agire in modo sostenuto in senso contrario.

Tutte le imprese potranno usufruire delle nove settimane aggiuntive, ma non tutte lo faranno con lo stesso costo. E questo perché è stato deciso di mantenere il paletto del 20% del calo del fatturato. “I datori di lavoro che presentano domanda per periodi di integrazione relativi alle nove settimane di cui al comma 1 – si legge sempre nella bozza – versano un contributo addizionale determinato sulla base del raffronto tra il fatturato aziendale dei primi tre trimestri del 2020 e quello dei corrispondenti mesi del 2019”. Il contributo addizionale non è dovuto se il calo del fatturato è pari o superiore al 20% o se l’attività di impresa è stata avviata dopo il primo gennaio 2019. Se invece il calo è nullo allora si verserà un’aliquota del 18% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate. L’aliquota da versare sarà del 9%, sempre in riferimento alla retribuzione di cui si è detto, se la riduzione del fatturato non è nulla ma comunque inferiore al 20 per cento.

La proroga della cassa Covid bilancia il peso dello stop al blocco dei licenziamenti. Ma poi ci sono anche l’emergenza sanitaria che spinge con un nuovo record di contagi, l’ultimo Dpcm che ha introdotto nuove restrizioni per bar e ristoranti, ancora di più la pressione dell’orizzonte di un’ulteriore stretta e di quello di un nuovo lockdown che persino Giuseppe Conte non esclude più a priori. Tutti elementi che impongono al Governo di uscire dalla morsa di una crisi economica che corre verso un nuovo avvitamento con il protocollo usato durante la prima fase dell’emergenza: soldi per sussidi e sgravi. Ancora una volta. Nella manovra ci saranno almeno 12 miliardi riservati a questa necessità, con l’aggiunta last minute di tre miliardi di aiuti per i settori più colpiti e che rischiano di chiudere.

Ecco che la legge di bilancio, attesa sul tavolo del Consiglio dei ministri tra il week end e lunedì, assorbe e riflette la cifra di un lavoro che si è fatto obbligatoriamente convulso perché convulsa è l’evoluzione della pandemia e quindi di tutte le grandi questioni collegate al virus, dalla scuola ai mezzi pubblici, fino appunto a quella di come modulare la strategia su un’economia reale che iniziava a registrare segnali positivi – leggere la ripresa dei consumi durante l’estate – e che invece ora deve fare i conti con un quadro generale di nuovo altamente instabile. Le esigenze che arrivano dall’esterno sono tornate ad aumentare e il Governo si trova costretto a ridimensionare il tentativo di iniziare a mettere dei paletti a quella politica dei soldi distribuiti a pioggia che è già costata 100 miliardi in termini di deficit. Non è solo una questione di conti pubblici, ma anche di possibilità di dare un segnale di fiducia.

E invece bisogna mettere mano ai 40 miliardi della manovra e metterci dentro tutto quello che si può per provare a tenere a galla tutte le situazioni che rischiano di precipitare. La necessità di mettere sul piatto tre miliardi per bar e ristoranti, ma anche per gli altri settori in crisi, nasce qui. Tre miliardi, che potrebbero essere erogati sotto forma di soldi a fondo perduto o credito d’imposta, per provare a tenere aperte tutte quelle attività che invece rischiano di chiudere. Perché a una certa ora i ristoranti chiudono, ancora prima le attività che non hanno un servizio di ristorazione, e la paura del contagio ha già portato negli ultimi giorni a un calo delle prenotazioni dei posti a tavola fuori casa.

Oltre ai tre miliardi di aiuti per i settori più interessati dalla crisi arriveranno 4,5 miliardi per la decontribuzione al 30% e per tutto il 2021 da destinare a chi assume al Sud. Altri tre miliardi per le assunzioni degli under 35 e per buste paga più pesanti alle lavoratrici che rientrano al lavoro dopo la maternità. Tutti soldi per tamponare ancora l’emergenza.

Fonte: Huffpost

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