Impraticabile l’idea sulla scuola da ottobre.
Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione nazionale presidi spiega a HuffPost perché l'ipotesi avanzata da alcune associazioni di docenti e sindacati è irrealizzabile.
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E lancia una controproposta: “Prendiamo spunto dai paesi in cui il sistema scolastico è più efficiente”.
Un’Italia in cui le scuole aprono le porte a ottobre, mentre la calura estiva si allontana e lascia spazio alle prime brezze autunnali. È questa la proposta avanzata da alcune associazioni di docenti e sindacati al ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che però si scontra con le preoccupazioni dei genitori, già alle prese con le difficoltà di gestione dei figli durante i tre lunghi mesi di vacanza, tra costi elevati per i centri estivi e altre attività. I potenziali cambiamenti, infatti, coinvolgerebbero circa 5,6 milioni di studenti tra i 5 e i 14 anni e 3,5 milioni di famiglie, sollevando un nodo cruciale: il disallineamento tra le vacanze scolastiche dei figli e quelle lavorative dei genitori. Questo squilibrio affonda le radici in un calendario scolastico storicamente modellato sui ritmi della vita contadina, in un’Italia prevalentemente agricola dove le donne erano destinate alla cura della casa e della famiglia e nei mesi estivi nei campi servivano anche le braccia dei più giovani. Oggi, per fortuna, la società è cambiata, ma la scuola sembra rimasta al palo.
La questione è più complessa di quanto possa apparire: oltre alle difficoltà familiari, emergono problemi strutturali e sfide economiche a livello nazionale, che rallentano ogni tentativo di riforma. Eppure, anche secondo i dirigenti scolastici, iniziare la scuola a ottobre non è la soluzione. Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi (ANP), raggiunto da HuffPost, afferma che “arrivati al 20 agosto è impensabile mettere in discussione l’inizio dell’anno scolastico. Decisioni di questa portata richiedono anni di preparazione, non possono essere prese in pochi giorni. Pertanto, per quest’anno, la proposta non è nemmeno considerabile”. Per Giannelli, le criticità della proposta sono lapalissiane: “Se si iniziasse più tardi, mantenendo invariato il numero di giorni o di ore di lezione, bisognerebbe anche terminare più tardi. Già a maggio ci si lamenta per il caldo: se si cominciasse a ottobre, si dovrebbe andare a scuola fino alla fine di giugno, quando le temperature non sono certo più fresche di quelle di settembre. Questa è un’altra semplice ragione per cui la proposta mi sembra poco praticabile”.
Un altro aspetto fondamentale del dibattito riguarda la durata delle vacanze estive in Italia che, secondo i dati di Eurydice, organizzazione dell’Ue che si occupa di informazione sull’istruzione, è tra le più lunghe in Europa, paragonabile solo a quelle di Lettonia e Malta. In Paesi come Danimarca, Germania e Francia, la pausa estiva dura meno di otto settimane, con vacanze distribuite più equamente durante l’anno. Questo non significa che in Italia si passi meno tempo sui banchi di scuola, ma soltanto che altrove i giorni di riposo sono distribuiti in modo più omogeneo nel corso dell’anno.
Anche il presidente dell’Anp rimarca questa differenza: “Nei paesi con un sistema scolastico più efficiente, la pausa estiva è breve e le vacanze sono meglio distribuite durante l’anno. Se applicassimo lo stesso metodo in Italia, non solo si favorirebbe l’apprendimento, ma si aiuterebbe anche il settore turistico, permettendo alle famiglie di organizzare vacanze durante tutto l’anno e contribuendo a destagionalizzare il turismo, evitando l’aumento dei prezzi concentrato solo in estate”. Un’altra idea, suggerisce Giannelli, “potrebbe essere quella di valutare l’aumento delle ore di lezione settimanali, riducendo così il numero di settimane scolastiche. Ad esempio, si potrebbero fare 33 ore a settimana invece di 30, guadagnando potenzialmente tre settimane. Ma ciò comporterebbe problemi logistici, come quelli legati al trasporto scolastico, che dovrebbero essere risolti”.
Intanto, nel tentativo di rispondere alle esigenze delle famiglie, il Ministero dell’Istruzione ha lanciato la scorsa primavera il “piano estate” stanziando 400 milioni di euro per garantire attività di inclusione, socialità e potenziamento delle competenze durante la sospensione estiva delle lezioni. Ma il provvedimento, che prevede la distribuzione dei fondi su due anni e un incremento di 80 milioni di euro rispetto al biennio precedente, non può essere considerato una soluzione definitiva.
Il vero ostacolo alla rimodulazione delle attività scolastiche resta, come sempre, di natura finanziaria. “Il dibattito rimane spesso teorico perché alla base ci sono sempre problemi economici. Senza un serio impegno finanziario da parte del Paese, difficilmente si potrà andare oltre le parole. Ogni volta che si discute di questi temi, ci si scontra con problemi come il condizionamento dell’aria nelle scuole o l’isolamento termico degli edifici, interventi che richiedono ingenti risorse economiche di cui l’Italia non dispone attualmente”, afferma Giannelli.
Anche le famiglie affrontano difficoltà economiche crescenti. Una recente indagine condotta da Adoc e Eures ha rilevato che i costi dei centri estivi sono aumentati in media del 10% rispetto al 2023, con variazioni significative a livello geografico. Milano, ad esempio, è la città più cara, con un costo settimanale di 218 euro per il tempo pieno, contro i 100 euro di Bari e i 123 euro di Napoli. L’Osservatorio Nazionale Federconsumatori ha confermato questo trend, evidenziando un costo medio settimanale di 190 euro per un centro estivo privato (+13% rispetto al 2019). Il costo scende a 115 euro per mezza giornata (+20% rispetto al 2019), e a 88 euro se si opta per il pranzo al sacco (+19% rispetto al 2019). I centri estivi pubblici offrono tariffe più basse, con una media di 75 euro per metà giornata (+50% rispetto al 2019) e 95 euro per il tempo pieno (+17% rispetto al 2019).
Insomma, la proposta di ripensare il calendario scolastico resta meritevole di discussione, ma richiede un approccio pragmatico e concreto. Giannelli sottolinea l’importanza di un dialogo con il governo, ma solo se accompagnato dalla disponibilità di risorse: “Istituire un tavolo di confronto con il Ministero dell’Istruzione è sempre auspicabile e utile, ma deve esserci anche la volontà di investire risorse significative, magari inserendo queste spese nel bilancio statale. Qui torna il tema dell’edilizia scolastica, che è complesso e non riguarda solo l’isolamento termico o il condizionamento, ma questioni ben più ampie che richiedono una discussione approfondita”.
Da HuffPost
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