Infrastrutture, sostenibilità e riforma fiscale: le priorità del governo
Commissari modello Genova per accelerare i grandi lavori
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Cosa vuol dire applicare alle infrastrutture il “modello Genova”, che il premier incaricato Mario Draghi avrebbe evocato durante le consultazioni? Il meccanismo straordinario, che ha consentito la ricostruzione del ponte sul Polcevera in due anni, prevede la nomina di un commissario che può operare «in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale», nel solo rispetto delle disposizioni del codice Antimafia e delle norme tecniche. Le procedure di gara in questo modo si riducono a manifestazioni d’interesse: sia per la parte progettuale che per l’assegnazione degli appalti. Il cantiere resta aperto H24 per sette giorni, con i conseguenti costi per gli straordinari. Va ricordato che si trattava di una ricostruzione, il che annulla tutto il dibattito che precede la nascita di un’infrastruttura ex novo, che il progetto è stato donato dallo studio Piano. Non c’è stata dunque una gara, così come non c’è stata per l’assegnazione dei lavori. Quanto alle risorse, sono state reperite rapidamente mettendole a carico di Autostrade, con una copertura statale di garanzia in caso di ritardi.
Ora, il Recovery plan, così com’è, ha assorbito una parte delle opere che l’ultimo governo aveva selezionato come prioritarie e per le quali aveva previsto la nomina di commissari dotati dei poteri in deroga previsti dal decreto Semplificazioni. Di più, il governo Conte, dopo un anno di tentennamenti, a gennaio ha anche prodotto l’elenco di 52 commissari per 59 opere prioritarie. L’iter andrà completato con un passaggio parlamentare e l’emanazione di un decreto del presidente del Consiglio. Dunque Draghi avrebbe già in mano una leva per agire. Sul punto c’è sempre l’opposizione dei costruttori dell’Ance, per i quali i commissari dovrebbero intervenire solo a monte della gara, per ridurre i tempi biblici che oggi servono per ottenere le autorizzazioni che consentono l’avvio della stessa, ma non sulle aggiudicazioni, per non distorcere il mercato.
Ma c’è un’alternativa ai commissari? Tagliare corto: applicare la normativa Ue sugli appalti, disapplicando il groviglio di norme che si sono sovrapposte dal 2016, anno della riforma del Codice degli appalti, fino ad oggi: 547 modifiche e 28 nuovi provvedimenti normativi (fonte ilSole24or e). Ma è davvero tutto da buttare? Alcune di queste norme, pensate proprio per semplificare, avrebbero il potenziale per snellire le procedure. Peccato che al momento, mancando del tutto i relativi provvedimenti attuativi, siano rimaste al palo. Non sarebbe il caso di partire da qui?
Un ministero della transizione ecologica e più risorse
L’ambiente e la sostenibilità saranno uno dei collanti del nuovo esecutivo. La costituzione del governo Draghi avviene a valle di una serie di discussioni sul Recovery plan che già hanno spinto l’ex maggioranza ad aumentare le risorse per le infrastrutture e una mobilità sostenibile da 27,7 a 32 miliardi di euro. Un elemento che il presidente incaricato ha tenuto in massima considerazione durante il confronto con il M5S. È insomma un programma economico in chiave ambientale quello che per ora ha disinnescato la riluttanza del Movimento. La riprova è il «sì, si farà» ripetuto ieri da Draghi, riferendosi al progetto di un ministero per la Transizione Ecologica e la Sostenibilità. Un via libera pronunciato durante le consultazioni con i rappresentati di Wwf, Greenpeace e Legambiente che prefigura il ruolo di un super ministro a sovrintendere settori come energia, ambiente e infrastrutture. «Il punto è che molti obiettivi ambientali sono oggi trattati dal ministero dello Sviluppo Economico o dal ministero del’Economia. Ecco il perché — osserva Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace — di una scelta che va nelle direzione di un ministero dedicato a un piano di conversione ecologica dell’economia». I temi di cui dovrà occuparsi il nuovo super ministro avranno, insomma, al centro l’economia tenendo conto degli effetti sul clima, la sostenibilità e la biodiversità. Tutto è destinato a muoversi partendo dal Recovery plan, dove per le infrastrutture sono previsti investimenti e interventi che prevedano una mobilità sostenibile attraverso, per esempio, l’efficientamento energetico dei porti e la conversione delle flotte navali con mezzi a minor impatto ambientale. Allo stesso tempo è già indicato il rinnovo del parco autotrasporto e del trasporto ferroviario merci in chiave sostenibile. Tra gli interventi che Draghi potrà attivare ci sono l’efficienza energetica e la riqualificazione degli edifici prevista nella bozza aggiornata del Recovery Plan. L’estensione del superbonus al 110% per l’efficientamento energetico e l’adeguamento antisismico delle abitazioni è una delle misure a cui punta il M5S, ed è inserita nella missione «Rivoluzione verde e transizione ecologica». Un contesto complessivo dove Draghi, per assecondare le richieste, può contare sul fatto che per ottenere le risorse europee i piani nazionali devono assicurare che almeno il 37% delle misure sia destinato alla transizione ambientale, in coerenza con il Green Deal.
No a nuove tasse, aliquote e scaglioni più progressivi
La riforma del fisco ci sarà e prevederà una rimodulazione delle aliquote e degli scaglioni all’insegna della «progressività» dell’imposizione. In sintesi è questo il messaggio che il presidente incaricato Mario Draghi ha trasferito a tutti i gruppi parlamentari durante le consultazioni. L’ex presidente della Bce ha indicato un ulteriore aspetto del percorso: la riforma non conterrà nuove tasse e dovrà concorrere alla riduzione dell’evasione fiscale. Indicazioni che, seppure stringate, per non urtare la sensibilità politica di nessuno, lasciano intendere che non ci sarà la flat tax, misura cara a Matteo Salvini. L’idea di un’aliquota fissa per categorie come, per esempio, le partite iva si configurerebbe con ogni probabilità in una forma di detassazione con tanto di rischio di iniquità tra diverse categorie di contribuenti. Un rilievo mosso più volte dall’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), che trova corrispondenza con il pensiero di Draghi in materia di fisco. Quando era governatore di Bankitalia, tra l’altro, non ha fatto mistero di ritenere necessario il riordino di un sistema fiscale contorto da innumerevoli imposte, aliquote, sconti e incentivi. La semplificazione e la rimodulazione della progressività si configurano, dunque, tra gli obiettivi del nuovo esecutivo. L’intento è redistribuire il carico fiscale, riducendo la pressione sui redditi medio-bassi, nel solco già tracciato dal governo Conte, che ha specificato la stessa volontà nel Documento di economia e finanza, così come nel Recovery plan, indicando la riforma del fisco, a cominciare dall’Irpef. A determinare la speditezza della riforma saranno gli equilibri politici della futura maggioranza, ma è intuibile che si tratterà di un intervento sulle aliquote effettive sui redditi da lavoro, dipendente e autonomo, relative a contribuenti con redditi bassi e medio-bassi, cioè al di sotto dei 50 mila euro lordi. Oltre all’intesa politica per procedere alla riforma servono le risorse, alleggerire il carico fiscale su alcune fasce di reddito prevede, del resto, di individuare come mantenere il gettito inalterato, e qui le strade sono già state riassunte dall’Upb pochi giorni fa. La progressività suggerirebbe di aumentare il prelievo sui redditi più elevati, ma ci sono anche il contrasto all’evasione e lo spostamento della tassazione «dai fattori produttivi verso i consumi», oltre che la revisione del catasto. Ogni scelta ha effetti e costi politici che Draghi dovrà mediare e mitigare.
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