La Cgia boccia i condoni: non si incassano mai i soldi previsti
Secondo i calcoli dell'associazione, negli ultimi 50 anni hanno fruttato complessivamente 148,1 miliardi di euro. Per 100 euro di gettito incassato dal fisco gli italiani ne evadono mediamente 13,2
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Negli ultimi 50 anni la politica dei condoni adottata in Italia ha consentito all’erario di incassare complessivamente 148,1 miliardi di euro (importo rivalutato al 2022).
A segnalarlo è l’ufficio studi della Cgia, secondo cui in termini economici la sanatoria fiscale del 2003 è stata quella più “redditizia” per le casse dello Stato: in 6 anni (2003-2008) tra concordato fiscale, chiusura liti pendenti, definizione ritardi od omessi versamenti, regolarizzazione delle scritture contabili, sono stati recuperati 28 miliardi di euro.
Seguono il condono tombale introdotto nel 1991, che fino al 1994 ha garantito 10,4 miliardi e il concordato/sanatoria delle scritture contabili istituito nel 1995, che fino al 2000 ha assicurato 8,4 miliardi di euro di gettito.
Oltre a essere “molto discutibili da un punto di vista etico”, annota la Cgia, “anche dal lato economico l’applicazione dei condoni non ha garantito grossi risultati economici alle casse dello Stato”.
Una sconfitta per la lotta all’evasione
Non solo: gli scudi, i concordati, le rottamazioni, le sanatorie e le pacificazioni fiscali hanno contribuito “in misura molto modesta a contrastare l’evasione fiscale”, che nel nostro Paese rimane ancora molto elevata e pari a quasi 90 miliardi di euro all’anno.
L’ufficio studi della Cgia stima che dai condoni edilizi introdotti dal legislatore nel 1985, nel 1994 e nel 2003 i Comuni abbiano incassato poco più di 15 miliardi di euro (importo non attualizzato al 2022). Nel primo il gettito è stato pari a 3,1 miliardi, nel secondo a 5,2 miliardi e nel terzo a poco più di 7 miliardi.
Non si incassa mai abbastanza
Anche in questo caso, così come per le sanatorie di natura fiscale, gli incassi “sono stati decisamente più contenuti delle aspettative”. Nel condono introdotto dal governo Craxi I fu incassato solo il 58% del gettito previsto, quello approvato dal governo Berlusconi I il 71% e quello istituito dal governo Berlusconi II solo il 34,5%.
Nel 2020, ultimo dato disponibile, il peso dell’economia non osservata sul valore aggiunto nazionale era all’11,6%, pari a 174,6 miliardi di euro. Di quest’ultimo importo, l’economia sommersa era pari a 157,4 miliardi e le attività illegali 17,3 miliardi. L’evasione fiscale e contributiva, invece, si aggirava attorno ai 90 miliardi di euro (78,9 miliardi imputabili all’evasione tributaria e 10,8 miliardi all’evasione contributiva).
Applicando al valore aggiunto sommerso un coefficiente determinato dal rapporto del gettito fiscale e il valore aggiunto desumibile dalla contabilità nazionale al netto dell’economia non osservata, l’Ufficio studi della Cgia è riuscito a calcolare anche l’evasione a livello regionale.
In buona sostanza, a fronte di 90 miliardi di evasione fiscale all’anno, è come se a ogni 100 euro di gettito incassato dal fisco, comunque gli italiani ne evadessero mediamente 13,2. Se la stessa simulazione viene riproposta al livello regionale, la situazione più critica si presenta nel Mezzogiorno: nella classifica di euro evasi ogni 100 euro incassati, in Puglia gli evasori se ne trattengono 19,2 euro, in Campania 20 e in Calabria, maglia nera d’Italia, 21,3.
Si tratta di cifre doppie rispetto ai 10,6 euro che si registrano in Friuli Venezia Giulia, ai 10,2 euro in Provincia di Trento e ai 9,5 euro in Lombardia. Il territorio nazionale più fedele al fisco è la Provincia di Bolzano che presenta un’evasione di soli 9,3 euro ogni 100 incassati.
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