L'ennesimo flop del reddito di cittadinanza: la formazione non esiste
Il flop del reddito di cittadinanza, così come è stato progettato, studiato e attuato, si compone di numeri che ne certificano ogni giorno che passa il fallimento. La gravità di tale misura è certificata anche dagli ultimi numeri di settembre su quanti, effettivamente, abbiano fatto una formazione attiva che portasse all'inserimento nel mondo del lavoro.
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Su oltre un milione e 100mila italiani che hanno firmato un Patto di Servizio, cioé un accordo tra lavoratore e Centro per l’impiego, soltanto 4mila di loro hanno partecipato ad attività di formazione, una percentuale irrisoria che non fa nemmeno statistica. Il problema nasce a monte perché nemmeno la metà dei richiedenti il reddito, 420.689 persone che fa il 37,9%, ha visto la loro domanda essere presa in carico dai Centri. Il restante 62,1% (anche da qui nasce il bivacco sul divano di casa), non è mai stato aiutato attivamente da chi dovrebbe aiutarlo a cercare un impiego. A questo mare magnum aggiungiamo che i navigator, come ci siamo occupati sul Giornale.it, non saranno più operativi da dicembre e la frittata è fatta.
I numeri del fallimento reiterato sono stati forniti dalla Fondazione Adapt, che si occupa di relazioni industriali e di lavoro assieme all’Università di Modena-Reggio Emilia. Per concludere lo stillicidio, dei 420mila fortunati, solo poco più di 92mila ha svolto attività di politica di cui ancor meno, 89mila, ha fatto attività di orientamento. Eppure, i 5Stelle l’avevano decantata come parte integrante del provvedimento e non come qualcosa di estremamente marginale come spesso viene presentata per coprire le mancanze di un reddito senza capo nè coda. “Quello che emerge dai numeri è una visione delle politiche attive del lavoro come un’attività di proposta di un lavoro alle persone disoccupate e non una più complessa ma più efficace, e soprattutto più equa, attività di riattivazione delle persone da un lato e di diritto alla transizione lavorativa dall’altro”, afferma a ItaliaOggi Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione.
Dare la possibilità di trovare lavoro e smettere di percepire il reddito di cittadinanza solo a chi ha una formazione “non è molto diverso dal non garantire a chi ha già un lavoro ma lo vuole cambiare di accedere a percorsi che lo aiutino nella transizione”, aggiunge. Il RdC dovrebbe ripartire da questo punto così come la riformza sulle politiche attive: al momento, però, la politica sembra fare orecchie da mercante, da un lato entra e dell’altro. Così si rischia di “peggiorare un sistema diseguale in cui l’accesso al lavoro è possibile solo ad alcuni
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