L'Europa e la sfida della sovranità digitale: è ora di recuperare il tempo perduto
Mentre altre potenze globali come gli Stati Uniti e la Cina investivano ingenti risorse nello sviluppo di infrastrutture, tecnologie e competenze digitali, l’Ue restava indietro, incagliata in burocrazie e in una mancanza di visione comune.
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La recente conferenza stampa del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha riportato sotto i riflettori un tema cruciale per il futuro non solo dell’Italia, ma di tutto il continente europeo: la sovranità digitale. Le sue dichiarazioni hanno acceso il dibattito su una domanda fondamentale: l’Europa è pronta a gestire la propria transizione digitale in autonomia? La risposta, a giudicare dall’attuale scenario, è purtroppo negativa.
L’Unione Europea ha preso coscienza della sua dipendenza tecnologica da paesi terzi solo in tempi recenti. Questo ritardo è il frutto di una visione miope che, per anni, ha sottovalutato l’importanza strategica del settore digitale. Mentre altre potenze globali come gli Stati Uniti e la Cina investivano ingenti risorse nello sviluppo di infrastrutture, tecnologie e competenze digitali, l’Europa restava indietro, incagliata in burocrazie e in una mancanza di visione comune.
Questo gap è diventato ancora più evidente con l’emergenza della pandemia, che ha accelerato la digitalizzazione globale e messo in luce le carenze dei sistemi informativi europei, specialmente in settori critici come la salute, l’energia e la sicurezza nazionale.
L’assenza di una strategia unitaria per il digitale è forse l’aspetto più grave. Le istituzioni europee hanno spesso parlato di sovranità tecnologica, ma queste dichiarazioni sono state accompagnate solo in parte da azioni concrete. Senza una chiara visione strategica, l’Europa si è trovata a rincorrere le innovazioni degli altri, anziché guidarle.
Gli esempi di questa mancanza sono numerosi. La dipendenza dai colossi americani per le infrastrutture cloud e dalle tecnologie cinesi per le reti 5G rappresentano un evidente rischio per la sicurezza e l’autonomia dell’Europa. La frammentazione tra i vari stati membri non ha fatto altro che peggiorare la situazione, rendendo difficile coordinare investimenti e politiche.
Se l’Europa vuole recuperare il terreno perduto, è necessario un cambio di passo deciso. La sovranità digitale non è un lusso, ma una necessità per garantire la resilienza dei sistemi informativi critici e proteggere i dati sensibili dei cittadini e delle imprese.
Gli investimenti in questo settore devono essere immediati e consistenti. Tuttavia, è fondamentale che queste risorse vengano utilizzate in modo strategico e coordinato, puntando su infrastrutture digitali sicure e indipendenti, sullo sviluppo di competenze digitali attraverso la formazione di professionisti qualificati, e sulla promozione di ricerca e sviluppo. Senza una strategia chiara, però, tali sforzi rischiano di essere vanificati da una problematica ancora più radicata: la dispersione di talenti.
La mancanza di coesione e opportunità adeguate ha infatti impedito di trattenere i talenti locali, un fenomeno particolarmente evidente in Italia, che registra una delle percentuali più alte di fuga di cervelli verso l’estero. Ogni anno, migliaia di laureati italiani in discipline STEM si trasferiscono all’estero, attratti da migliori opportunità di carriera e salari più competitivi. Questo esodo non solo impoverisce il mercato del lavoro italiano, ma riduce anche la capacità del Paese di contribuire in modo significativo a colmare il divario tecnologico europeo.
L’Europa non può più permettersi di ignorare il valore strategico del digitale. Il ritardo accumulato finora deve diventare uno stimolo per agire con urgenza e determinazione. La sovranità digitale è la chiave per garantire non solo l’autonomia tecnologica, ma anche la sicurezza, la crescita economica e il benessere dei cittadini europei. La sfida è complessa, ma è una sfida che l’Europa non può permettersi di perdere.
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