Anno: XXVI - Numero 46    
Giovedì 6 Marzo 2025 ore 13:45
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L’Italia non è un Paese per madri lavoratrici: siamo la maglia nera in Europa.

L’Italia non è un Paese per madri lavoratrici: siamo la maglia nera in Europa. L’Italia è all’ultimo posto in Europa per tasso di occupazione femminile. Nel nostro Paese quasi una lavoratrice su tre è impiegata part-time (spesso contro la sua volontà). E una donna su cinque, dopo essere diventata madre, esce dal mercato del lavoro.

L’Italia non è un Paese per madri lavoratrici: siamo la maglia nera in Europa.

Mettere in fila questi dati aiuta a comprendere quanto la nostra società sia ancora profondamente segnata dalla disparità di genere: l’uomo a lavorare, la donna a casa a occuparsi dei figli e uno Stato che troppo poco fa per supportarli.

“Mi sono licenziata perché con la seconda gravidanza sarebbe diventato impossibile conciliare il lavoro e la famiglia”, racconta Miriam, madre di Torino intervistata nell’ambito del rapporto Le Equilibriste, la maternità in Italia, realizzato dalla ong Save the Children. “Le mie figlie vanno al nido fino alle 12.15, quindi devo trovare un lavoro che non mi impegni più di quelle tre/quattro ore al giorno”, spiega invece Donatella, di Bari.

In Italia, nella fascia d’età tra i 20 e i 64 anni, lavora solo il 55% delle donne, a fronte di una media nell’Unione europea del 69,3%: un divario di quasi quindici punti percentuali che per gli uomini si riduce magicamente a sei (l’occupazione maschile è pari al 74% a livello nazionale, contro una media Ue dell’80%). Eppure, le donne in Italia raggiungono livelli di istruzione maggiori rispetto agli uomini.

La crescita del lavoro femminile degli ultimi anni ha interessato quasi esclusivamente i settori in cui le donne erano già sovra-rappresentate. Le lavoratrici costituiscono l’85% degli occupati nel sociale, il 75% nell’istruzione e il 68% nella sanità, ma sono appena il 18% dei professionisti e il 28% dei manager.

Nel settore privato persiste una netta disparità salariale a sfavore delle donne lungo tutto il percorso di carriera, con un vantaggio retributivo maschile che oscilla intorno al 40% negli stipendi annuali e al 30% nelle retribuzioni giornaliere.

Questo gender gap si riflette anche sulle condizioni di lavoro. Nel nostro Paese solo il 6,6% degli uomini occupati ha un contratto part-time, mentre per le lavoratrici femmine la quota schizza al 31,3%. La metà delle donne impiegate a tempo parziale, inoltre, accetta o subisce questa forma contrattuale per necessità o per assenza di altre possibilità (si parla in questi casi di “part-time involontario”). Ed essere o meno madre incide molto: è impiegata part-time il 36,7% di chi ha figli, a fronte del 23,5% di chi non ne ha.

Tpi.it

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