Ospedalieri, ecco che cosa rischia chi non raggiunge il 70% dei crediti entro dicembre
Dalla formazione alla mobilità, dai contenziosi ai procedimenti disciplinari, ci sono cose che il contratto dei medici ospedalieri 2016-18 non affronta o non risolve.
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La Confederazione Italiana Medici Ospedalieri le ha messe in luce in un recente webinar a cura dell’avvocato Giancarlo Faletti e lavora ad una piattaforma di proposte per superare lo stallo. La norma più preoccupante è relativa alla formazione continua, spesso inaccessibile all’impegnatissimo medico ospedaliero, o “azzoppata” da situazioni contingenti e carenza di risorse. L’articolo 51 comma 4 del Ccnl afferma che se il medico per problemi di natura organizzativa aziendale non può rispettare anche in parte la richiesta contrattuale di totalizzare i crediti formativi previsti nel triennio, non subisce la penalizzazione negli sviluppi di carriera e tale mancanza non è considerata per la valutazione periodica riguardo il mancato raggiungimento dell’obiettivo ciò stante il carattere sperimentale dell’ECM. Si può tirare un sospiro di sollievo? No. Il recente decreto-legge PNRR 152/2021 impone di soddisfare il fabbisogno crediti nel triennio ECM per almeno il 70% altrimenti la tutela della polizza non scatta. L’obbligo vale dal triennio 2023-25 ma si riflette già sul triennio in essere 2020-22: i medici dirigenti del Servizio sanitario hanno residui cinque mesi per ottenere il 70% dei crediti da acquisire. In caso contrario, non si troveranno nel 2023 nella condizione di fruire delle coperture assicurative Rc proprie o stipulate dall’azienda, inclusa l’autoassicurazione.
Altro argomento di grande attualità è la mobilità, cioè il trasferimento su domanda del medico da una sede aziendale all’altra o a sede di diversa azienda. Il soggetto che chiede di trasferirsi deve avere il permesso dell’azienda sanitaria da cui dipende. In una situazione come l’attuale di carenza d’organico un rilascio lampo dell’autorizzazione è improbabile. L’articolo 54 del contratto si rifà alla legge quadro del pubblico impiego, ma la complica. Dove il d.lgs. 165/2001 parla di rilascio di autorizzazione preventiva alla partecipazione alla mobilità, il contratto parla di autorizzazione preventiva, vinta la mobilità, per la copertura del posto. Leggendo la nuova dicitura il medico ignaro partecipa a concorsi indetti da altre aziende, li vince, e a valle si vede rifiutare la domanda d trasferimento dalla propria azienda. Per Cimo, spiega Faletti, va esplicitato nel contratto che l’autorizzazione preventiva dell’azienda è propedeutica alla partecipazione alla procedura di mobilità. Tra l’altro l’azienda tende a negare l’assenso sulla base di ragioni organizzative quali l’organico scoperto, oppure condizionandolo all’acquisizione di nuova risorsa. Le ragioni vanno però congruamente motivate anche se il contratto non ne parla. Né definisce entro quanto tempo il medico ha diritto di ottenere risposta formale dall’azienda, ci sono situazioni dove questa non risponde per mesi (e se l’azienda nuova contingenta il medico entro 15 giorni è un disastro): il silenzio va considerato un assenso? E tra l’altro chi deve valutare le condizioni di assenso all’uscita, il Direttore di struttura o il Direttore sanitario o il direttore generale dell’azienda datrice di lavoro? Il contratto non disciplina nemmeno cosa accade nell’azienda di destinazione se non ci sono risposte di nessun genere sul medico selezionato: si rifà il concorso o il posto non si può più coprire?
C’è poi la mobilità d’urgenza, utilizzata dall’azienda per coprire le attuali carenze in Pronto soccorso. Essa implica, ad esempio, la recente disposizione che in Puglia invita i Direttori Sanitarie delle Asl e di distretto ad utilizzare tutti i dirigenti medici di qualunque specialità nel coprire i posti vacanti in Ps tenendo conto dell’aumento dei ricoveri causa pandemia e del fatto che molti sanitari sono in ferie. Il riferimento è l’articolo 16 del contratto 2014 che chiede di impiegare il medico nella specialità di appartenenza, o in specialità considerata dall’ordinamento affine ed equipollente, ovvero nell’ambito dell’area specialistica di formazione (uno specialista di area medica non può andare in area chirurgica o dei servizi). L’avvocato Faletti ricorda che l’azienda deve in ogni caso dimostrare di agire per situazioni contingenti, improvvise, urgenti e non può
attingere a personale diverso da quello di cui già dispone. Inoltre, non deve sguarnire l’organizzazione dell’UO di appartenenza. E deve utilizzare il medico per non oltre 30 giorni in un anno salvo diverso consenso dell’interessato.
Da doctor news 33
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