Per i talebani le donne non devono esistere.
Non possono lavorare, non possono viaggiare, non possono uscire liberamente. Il governo di Kabul ora annuncia ritorsioni alle Ong che le impiegano, e emesso l'assurdo ordine di murare le finestre che si aprono su "attività femminili
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Qualsiasi organizzazione non governativa che impiega donne al suo interno non potrà più operare in Afghanistan. La decisione è stata presa dal governo dei talebani, che hanno dato seguito alla minaccia di due anni fa quando avevano chiesto di sospendere le lavoratrici all’interno delle ong nazionali e straniere. “In caso di mancanza di cooperazione”, ha avvertito il ministro dell’Economia in una lettera pubblicata su X, “tutte le attività di quelle istituzioni saranno annullate e le loro licenze concesse dal ministero verranno annullate”. È l’ennesimo atto liberticida contro le donne emanato dai governanti di Kabul, di certo non l’ultimo. Tempo due giorni e i talebani hanno imposto un nuovo ordine: murare le finestre che affacciano sulla cucina di un vicino, su un cortile o su altri spazi dove c’è possibilità di guardare una donna intenta a svolgere qualche mansione. “Vederle lavorare in cucina, nei cortili o raccogliere l’acqua – ha spiegato il portavoce dell’esecutivo – può portare ad atti osceni”. Meglio evitare, dunque, “per evitare fastidi”.
Quando hanno ripreso il potere nell’agosto del 2021, in seguito al rocambolesco quanto confusionario ritiro dei soldati americani dopo vent’anni di presenza in Afghanistan, i talebani si dicevano cambiati rispetto all’ultima volta. Se l’esperienza di fine secolo scorso fosse stata contrassegnata dal rigido rispetto della legge islamica, col passare degli anni avrebbero affermato di aver maturato una consapevolezza diversa. Pur mantenendo la Sharia, promettevano maggiori libertà nel rispetto della fede, una libertà che avrebbe dovuto includere anche le donne. Il primo segnale di cambiamento era rappresentato dalla possibilità di studiare fino all’università, sebbene in classi separate e indossando obbligatoriamente l’hijab. Ma al cambio di passo credevano in pochi, nel sospetto che servisse ai talebani per accreditarsi di fronte alla comunità internazionale e poco più. Lo pensavano a buon ragione: dopo pochi mesi, alle studentesse è stata vietata persino l’istruzione post-primaria.
Dal ritorno dei talebani le donne sono state sempre più marginalizzate, escluse dalla vita pubblica, relegate agli angoli della società. L’Onu ha sintetizzato la situazione parlando di “apartheid di genere” ed è difficile trovare sinonimi migliori quando solo agli uomini viene permesso di cantare o recitare poesie in pubblico, o semplicemente quando vengono bandite le voci femminili in alcune stazioni radio o in alcuni programmi televisivi. A occuparsi di tenerle in disparte è il Ministero della propagazione della virtù e della prevenzione del vizio, istituito poco dopo l’insediamento dei talebani per rimpiazzare il dicastero per gli Affari delle donne.
Da allora, per le donne afghane non è stata più vita. L’illusione di vedere accrescere i propri diritti è naufragata presto, insieme a quella di poter studiare e costruirsi un futuro. Quando quasi due anni fa le ragazze che avrebbero dovuto frequentare la scuola secondaria si sono presentate di fronte agli edifici, hanno trovato i cancelli chiusi. Si erano sentite dire che occorreva più tempo per realizzare un’uniforme che rispettasse i principi della Sharia, motivo (o per meglio dire, scusa) per cui il loro rientro è stato posticipato a data da destinarsi. Parliamo di 3 milioni di ragazze alle quali è stato negato l’accesso all’istruzione, abbandonate a un destino già scritto, che rendono l’Afghanistan un paese sinistramente unico al mondo. “Si rischia di perdere un’intera generazione”, aveva avvertito l’Unesco. “Qualsiasi paese non può progredire se metà della sua popolazione non può avere un’istruzione e partecipare alla vita pubblica”.
La maggior parte dei lavori non ammettono inoltre presenza femminile, completamente bandita all’interno dell’amministrazione di Kabul, dove l’unica possibilità è pulire i bagni, che non viene consentito ai colleghi maschi. Senza una qualifica, c’è la povertà. Senza soldi, l’unico modo per sopravvivere è accettare la proposta matrimoniale di un uomo, anche in età adolescenziale: non a caso, il 17% delle ragazze si sposa prima dei quindici anni.
L’unico modo che un’afghana ha per viaggiare, d’altronde, è a fianco di un uomo. Senza di lui non possono salire su un aereo, né allontanarsi per più di 75km da casa. Insieme al proprio marito le donne non possono però andare al parco. Se prima le leggi per accedere agli spazi verdi di Kabul prevedevano tre giorni per le donne e quattro per gli uomini, dal novembre del 2022 non è più possibile nemmeno questo. Anche qui c’entra la religione, visto che molte non indossavano il velo quando passeggiavano per i parchi. Va da sé che, di fronte a tutte queste restrizioni, quella di indossare – sempre e per intero – l’hijab è una prerogativa su cui non si ammettono deroghe. Alle donne sono stati chiusi persino parrucchieri e saloni di bellezza, scatenando una protesta a luglio dello scorso anno, immediatamente repressa.
Regole e divieti hanno ovvie conseguenze sulla società. Dalle interviste dei funzionari delle Nazioni Unite alle donne afghane è emerso che appena l’1% di loro ritiene di avere influenza sul processo decisionale della propria comunità, il 64% non si sente al sicuro a girare da sola, l’8% afferma di conoscere almeno una donna o una ragazza che ha tentato il suicidio da quando sono tornati i talebani, con una su quattro mostra segni di depressione. Come ha raccontato ad Amnesty International un’insegnante della provincia di Mazar-e-sharif, il sogno di un nuovo inizio è durato giusto il tempo di crederlo possibile. “Ci avevano detto che i talebani erano cambiati, che non dovevamo compromettere gli sforzi di pace, che il mondo sarebbe stato dalla nostra parte. Ma oggi viviamo sole con le nostre miserie”.
Qualsiasi organizzazione non governativa che impieghi donne al suo interno non potrà più operare in Afghanistan. La decisione è stata presa dal governo dei talebani, che hanno dato seguito alla minaccia di due anni fa quando avevano chiesto di sospendere le lavoratrici all’interno delle ong nazionali e straniere. “In caso di mancanza di cooperazione”, ha avvertito il ministro dell’Economia in una lettera pubblicata su X, “tutte le attività di quelle istituzioni saranno annullate e le loro licenze concesse dal ministero verranno annullate”. È l’ennesimo atto liberticida contro le donne emanato dai governanti di Kabul, di certo non l’ultimo. Tempo due giorni e i talebani hanno imposto un nuovo ordine: murare le finestre che affacciano sulla cucina di un vicino, su un cortile o su altri spazi dove c’è possibilità di guardare una donna intenta a svolgere qualche mansione. “Vederle lavorare in cucina, nei cortili o raccogliere l’acqua – ha spiegato il portavoce dell’esecutivo – può portare ad atti osceni”. Meglio evitare, dunque, “per evitare fastidi”.
di Lorenzo Santucci su Huffpost
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