Piacenza con le Fiere dei cambi importante centro finanziario europeo tra il ‘500 e il ‘600
Il ruolo della nostra città come crocevia di artisti e mercanti sottolineato da Valeria Poli ed Eduardo Paradiso nel corso dell’incontro che si è tenuto nella Biblioteca del Convento
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I numerosi studi pubblicati dalla Banca di Piacenza (dal 1995) sono lì a dimostrarlo: la nostra città è stata, nel passato, crocevia di artisti e mercanti trovandosi lungo gli itinerari di pellegrinaggio europei. Una condizione che ha permesso a Piacenza – fra il XVI e il XVII secolo – di essere centro nevralgico del mercato del credito europeo con le Fiere dei cambi.
A trattare il tema, questa mattina nella Biblioteca del Convento di Santa Maria di Campagna nell’ambito delle Celebrazioni dei 500 anni della Basilica, Valeria Poli (per la parte artistica) ed Eduardo Paradiso (per la parte economica), introdotti dal condirettore generale dell’Istituto di credito locale Pietro Coppelli.
«La posizione geografica – ha spiegato la prof. Poli – ha una fondamentale influenza sul linguaggio artistico medioevale. Grazie alle maestranze itineranti la produzione scultorea, in particolare, documenta una precoce influenza dei risultati francesi, testimoniati dalla cosiddetta scuola di Piacenza». Durante il ducato visconteo-sforzesco, l’arrivo a Milano degli artisti toscani e umbri, in particolare Michelozzo e Bramante, determina uno spostamento in provincia delle maestranze lombarde ma, al contempo, la capacità di attrazione della capitale rispetto agli artisti piacentini. «Ne è un evidente esempio – ha specificato la relatrice – il caso di Alessio Tramello, progettista della chiesa di Santa Maria di Campagna nel 1522, che testimonia nella sua produzione il lascito bramantesco». Agli inizi del XVI secolo, Piacenza conosce la presenza di opere e artisti di primissimo piano: «Si pensi al caso di Bernardino Zacchetti – ha proseguito la prof. Poli – attivo nella cappella Sistina e in San Sisto e alla presenza della Madonna Sistina di Raffaello, opere che fecero scuola per l’età della Maniera del nord Italia». La creazione del principato farnesiano, dal 1545, testimonia la prassi di affidarsi ad artisti stranieri. Così la prima età farnesiana può essere definita l’età del Vignola, progettista nel 1561 del Palazzo Farnese, «che importa da Roma la variante classicista dell’età della Maniera, ben documentata dalle chiese controriformate». La seconda età farnesiana invece, corrispondente alla felice congiuntura economica e politica della riapertura del cantiere di Palazzo Farnese voluta da Ranuccio II alla fine del XVII secolo, è indicata come età dei Bibiena, «a testimonianza dell’influenza avuta dalla famiglia degli scenografi e quadraturisti bolognesi sulla produzione del cantiere farnesiano, risultato della presenza di artisti di tutto il nord Italia».
Sarà però soprattutto il processo di nobilitazione di mercanti “stranieri”, congiuntamente alla riapertura del cantiere del Palazzo Farnese, a divenire occasione di confronto di maestranze artistiche provenienti dalle zone di origine delle famiglie della nuova aristocrazia cittadina. Rare le occasioni di artisti locali, limitate ad alcuni casi di rilievo, come il vedutista Giovan Paolo Panini e il pittore di figura Gaspare Landi, attratti poi dal contesto romano. Alcuni cantieri sono poi da considerarsi particolarmente significativi, come Santa Maria di Campagna e la Cattedrale».
Eduardo Paradiso ha quindi posto l’accento sull’importante ruolo economico-finanziario avuto dalla nostra città tra ‘500 e’600. «Per 40 anni, fra il 1579 e il 1621, per quattro volte l’anno – ha sottolineato – Piacenza ospitava le Fiere di cambio che, sotto il controllo dei Genovesi, trattavano il più alto volume di credito europeo. Il loro motore trainante non era il commercio internazionale, ma il volume d’affari generato dal debito pubblico della corona spagnola». Il relatore ha spiegato come si arrivò alla scelta di Piacenza: nel 1528 Genova – alleata con i Francesi – cambiò in favore della Spagna. Per questo dovette abbandonare le Fiere di Lione dominate dai Fiorentini; passando prima da Becancon, i mercanti genovesi chiesero al duca Ottavio Farnese, con l’appoggio dei milanesi e dei bolognesi, di svolgere le Fiere, ormai specializzate nei contratti di cambio internazionali, a Piacenza; Ottavio accettò, non senza interesse (guadagnava lo 0,50% sul volume delle transazioni complessive). Quattro le location delle Fiere di cambio piacentine: nei pressi di Sant’Agostino (1579-1627), a nord della Chiesa di San Lorenzo (1627-1657); nell’attuale sede della Procura della Repubblica (1658); di fronte al Farnese (1685). Solo di quest’ultima collocazione esiste una stampa (che compare sulla copertina di uno dei tomi delle Memorie storiche di Piacenza del Poggiali) e un quadro (di Francesco Monti, Veduta della Fiera di Piacenza, XVIII sec., Musei civici di Palazzo Farnese): le due immagini sono state riprodotte su due distinte cartoline distribuite ai presenti dalla Banca di Piacenza.
Il dott. Paradiso ha poi specificato quando si tenevano le Fiere (1° febbraio, 2 maggio, 1° agosto e 2 novembre), le operazioni che vi si compivano, quale era la moneta utilizzata («fino al 1595 esisteva una moneta virtuale, lo “scudo di marco”, stabilmente ancorata all’oro; dal 1595 fu deciso di coniare e stampare, a Piacenza, anche lo “scudo di marche”, che valeva come moneta di pagamento in Fiera».
Ma a cosa servivano le Fiere? A compensare i debiti/crediti fra i vari banchieri e mercanti (l’attuale stanza di compensazione bancaria) – ha spiegato il relatore – e a stabilire il cambio fra le varie monete di tutti gli Stati, che restava fissato per tre mesi (fixing).
«Le Fiere, ormai “mature”, si esauriscono completamente agli inizi del XVIII secolo, lasciando spazio ai Paesi del nord (ad Amsterdam in particolare, dove i traffici dei mercanti con i mondi nuovi erano più veloci e intensi) e all’apertura di quella che sarà la nuova Borsa, dove l’elemento tempo risulterà decisivo. Infatti il fixing – prima ogni 15 giorni, poi dopo una settimana e infine ogno giorno – fissa il valore delle monete e le quotazioni delle varie società. Il periodo piacentino – la considerazione finale del dott. Paradiso – è stato importante, perché ha segnato il passaggio tra le Fiere di Mercanzie e le Fiere di soli Cambi e perché ha sistematizzato la materia e segnato la transizione fra le sperimentazioni di nuove tecniche commerciali e bancarie e l’odierno assetto borsistico e finanziario».
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