Roccella e Schlein nella trappola delle identità
La prima si lamenta della censura della sinistra, la seconda della deriva autoritaria della destra. In realtà ognuno - col suo pericolo fascista brandito davanti all’avversario senza crederci davvero - è solo alla ricerca di una chiamata alle armi della propria tribù. In vista del voto.
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Potremmo cavarcela definendola “sindrome del rimpiattino” e raccontarne i sintomi per come essi si manifestano: Eugenia Roccella, ministro ultra-conservatore di un governo accusato di deriva autoritaria se non di fascismo, coglie al balzo la palla della contestazione subita, per accusare i giovani contestatori di censura e di complicità la sinistra che parla di fascismo.
In attesa che Benito Mussolini, prima o poi esca dalla tomba per rivendicare il copyright usato a sproposito da una parte e dall’altra – “fascista sei tu”, “no, fascista non sono io, sei tu” – l’enfatico j’accuse della ministra appare davvero fuori asse perché, semplicemente, siamo di fronte a delle contestazioni un po’ caciarone ma legittime, nella misura in cui, in una democrazia, l’unico discrimine tra ciò che è consentito e ciò che è vietato è la violenza. E la violenza, in questo caso, non c’è stata. Per cui anche le identificazioni successive dei manifestanti suonano assai stonate sia rispetto a questo assunto di ordine generale sia rispetto a quanto disse proprio Giorgia Meloni nel suo discorso di insediamento alle Camere: “Difficilmente non proverò un moto di simpatia verso quei ragazzi che scenderanno in piazza anche per contestare le politiche di questo governo, perché la storia dell’impegno giovanile è anche la mia. A quei ragazzi voglio dire: siate liberi”. Evidentemente, già prima della campagna elettorale, quel moto di identificazione ribelle si è esaurito.
E tuttavia il problema è più grande. E riguarda quella trappola delle identità dentro cui sta precipitando la democrazia italiana, anche per colpa di partiti in crisi. Il rimpiattino, della destra verso la sinistra, si manifesta il giorno dopo che Elly Schlein ha chiamato alla piazza la sinistra contro la destra, in occasione della festa della Repubblica. Anche in questo caso un fuori asse, sottolineato dall’oggetto della mobilitazione (la deriva autoritaria, appunto) e accompagnato da una narrazione resistenziale (la difesa della Costituzione col proprio corpo).
Secondo una logica tutta di propaganda identitaria, la segretaria del Pd compie un’operazione che assume, come metodo proprio, l’accusa rivolta ad altri: si dice alla destra di non vivere il 25 aprile come festa di tutti trasformando il 2 giugno, che è una festa di tutti, in data per una battaglia di parte. Ovviamente se fosse scesa in piazza Giorgia Meloni, ai tempi dell’opposizione, per contestare il governo, si sarebbe parlato della sua estraneità alla Repubblica perché, in fondo, fascista ma, secondo il classico doppio standard, a parti invertite diventa normale.
Mica è tanto normale invece sfregiare la sacralità di una festa, appunto di tutti, che peraltro è il giorno per eccellenza in cui, è giusto lasciare il protagonismo a chi la Repubblica la rappresenta, il cui cognome inizia per M, e non è M di Scurati, ma di Mattarella che, peraltro, oltre a essere il garante di tutti gli italiani viene dal partito di quelli che fanno la manifestazione, insomma non è fascista. E forse, maliziosamente, la sua dichiarazione sul caso Roccella, un po’ troppo carica contro le contestazioni che violano la Costituzione, si può leggere come un modo per ribadire una equidistanza totale dagli schieramenti, operazione di difficile equilibrismo nel momento in cui, per supplire alle proprie debolezze, il governo è impegnato a trasformarlo in bersaglio più o meno esplicito e l’opposizione è impegnata a trasformarlo in propria bandiera. Sul premierato però, perché sulla guerra, invece, al suo discorso all’Onu viene preferita la dottrina Tarquinio.
Morale della favola, ognuno col suo pericolo fascista brandito davanti all’avversario per calcolo elettorale è attore più o meno consapevole di un 2 giugno alla rovescia, inteso come trionfo della propria tribù. E qui potremmo scrivere mille pagine sulla democrazia che impoverisce. Limitiamoci a sottolineare un’aggravante. E cioè che non solo c’è la trappola, ma questa logica identitaria è solo un’esca per il popolo in assenza di idee degne di questo nome sull’Europa, unica cosa di cui si dovrebbe parlare e non si parla in questa campagna elettorale. Gli apprendisti stregoni, a quel che dicono, non ci credono neanche loro, come evidente dalla sproporzione tra denuncia e condotta. E’, semplicemente, tutto strumentale.
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