Unioni civili in Italia: quante sono e dove si fanno.
Nel 2022 in Italia sono state registrate 2.813 unioni civili fra persone dello stesso sesso. Erano state 4.376 nel 2017, primo anno di apertura di questa possibilità, 2.808 nel 2018, 2.297 nel 2019, 1.539 nel 2020, 2.148 nel 2021.
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Nel complesso si tratta di 16 mila unioni, quindi oltre 30 mila persone, con una predominanza di unioni civili fra uomini: 1.594 unioni ossia il 56,7% del totale. 215 di queste 2.813 unioni civili registrate in Italia nel 2022 vedono almeno uno dei due coniugi divorziato o vedovo dopo un matrimonio eterosessiale.
Forse non tutti sanno che Istat ha un database molto ampio con moltissimi indicatori demografici, e professionali sulle unioni civili in Italia. Si trova qui, navigando il menu a sinistra sotto “Popolazione e famiglie”.
Le differenze regionali che si leggono sono enormi. Al Sud se ne contano nel 2022 2 ogni 100 mila abitanti in media, con province prossime allo zero, mentre al centro nord ci sono province come Lucca dove si superano le 10 unioni per 100 mila abitanti.
Il 35,7% delle unioni civili è nel Nord-ovest, seguito dal Centro (26,3%). Fatte 100 le unioni civili contratte nel 2022, 22,8% sono avvenute in Lombardia, il 13% in Liguria, il 10% in Emilia-Romagna, il 7,1% in Toscana il 6,8% nel Lazio. Se consideriamo le unioni civili per 100 mila abitanti, che è un valore che uniforma le regioni, la Liguria si colloca al primo posto con 7,6 unioni civili per 100 mila abitanti.
Come province troviamo nell’ordine Lucca, Bologna, Savona, Firenze, Imperia, Livorno, Biella, Pisa, Roma e Milano.
In coda con meno di 1 unione civile su 100 mila abitanti troviamo il Molise e le province di Avellino, Campobasso, Catanzaro, Cosenza, Potenza, Agrigento, Frosinone, Vibo Valentia, Caltanissetta.
Emerge con evidenza il ruolo attrattivo dei grandi comuni, dato che più di un quarto delle unioni si sono costituite nel complesso dei 12 grandi comuni italiani. In testa si trova il comune di Roma (con l’8,6%), seguito da quello di Milano (5,9%). Le unioni civili con almeno un partner straniero sono il 17,3%; nel Centro si attestano al 20,5% mentre nel Mezzogiorno sono il 15% circa. Istat riporta i dati provvisori dei primi otto mesi del 2023: + 10% rispetto al 2022.
Sono le persone con titolo di studio più elevato a fare l’unione civile?
Dai dati pare di no, o meglio non è vero che sono i laureati a contrarre maggiormente unioni civili. La situazione è piuttosto omogenea.
Su 2.326 unioni civili registrate fra coniugi entrambi di cittadinanza italiana, 749 hanno coinvolto due laureati, mentre 1.110 entrambe persone con al massimo un diploma, anche se va detto che solo 156 unioni hanno riguardato entrambi coniugi senza il diploma.
Le unioni civili dove almeno un coniuge ha la licenza elementare sono state 42, quelle dove almeno un coniuge ha la licenza media 418, quelle dove almeno uno di loro ha un dioloma 1.65, quelle dove almeno una persona è laureata, anche solo triennale, 755 e dove almeno un coniuge ha un titolo di studo post lauream 46.
Per inquadrare questo dato – senza tentare correlazioni non fondate – ricordiamo altri due numeri: primo, che in Italia 4 25-64 enni su 10 non hanno il diploma, il doppio della media europea. Secondo, l’età media all’unione civile è di 38,5 anni per le donne e di 46 anni per gli uomini.
Ricordiamo che il 7% delle unioni registrate in Italia nel 2022 vedono almeno uno dei due coniugi divorziato o vedovo dopo un matrimonio eterosessuale.
Non sappiamo con precisione quante persone in Italia si dichiarino LGBTQ+. Il dato più recente proviene da un sondaggio di Ipsos su 22,5 mila persone fra i 16 e i 74 anni. È emerso che il 9% di loro si dichiara LGBT+, pienamente della media fra 30 paesi esaminati, e il l 61% di queste 22 mila persone (il 90% delle quali eterosessuali) è favorevole al matrimonio egualitario. Era il 48% della popolazione nel 2013, un salto notevole. Va detto però che 22,5 mila persone in 30 paesi sono pochine per fare analisi sociologiche.
Un primo e più intuitivo modo per provare a dare qualche numero consiste nel chiedere direttamente alle persone se si identificano come bisessuali, gay o lesbiche. I risultati degli studi condotti in questo modo, confluiti nel rapporto Society at a Glance 2019 di OCSE (non ci risultano analisi OCSE più recenti su questo) mostrano che in media circa il 2,7% della popolazione si definisce così – o per dirla in un altro modo “almeno 17 milioni di adulti” nei paesi menzionati.
Tra il 2020 e il 2021 Istat e l’Ufficio nazionale antidiscrminazioni razziali (Unar) hanno condotto un’indagine su 21 mila persone che nel 2021 risultavano iscritte come coinvolte in unione civile. Il ha 65,2% dichiarato di essere una persona gay, il 28,9% lesbica, il 4,2% donna bisessuale e l’1,7% uomo bisessuale.
Come funzionano le unioni civili in Italia
In Italia non si può utilizzare la parola matrimonio dal punto di vista legale. L’unione civile è una “specifica formazione sociale”, una famiglia, e dà gli stessi diritti del matrimonio fra persone di sesso diverso sia per quanto riguarda i casi di malattia di uno dei due che per questioni patrimoniali come i diritti di successione, senza però richiedere l’obbligo di fedeltà e senza che sia previsto il periodo di separazione obbligatorio prima di richiedere eventualmente il divorzio.
Nella maggior parte degli altri paesi europei invece la parola usata è la stessa delle coppie eterosessuali: matrimonio. Anche le persone dello stesso sesso possono sposarsi (anche in Italia comunque si definiscono coniugi). Il diritto al matrimonio viene riconosciuto in Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svezia e Svizzera.
Qualora una coppia composta da persone dello stesso sesso decidesse di contrarre regolare matrimonio in uno di questi paesi e poi di farlo valere in Italia, nel nostro paese non verrebbe trascritto come matrimonio – nonostante all’estero lo sia – ma come unione civile, garantendo ai coniugi gli stessi diritti delle coppie registrate per i diritti conferiti dalla legislazione italiana.
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