Anticipo Tfr/Tfs dipendenti pubblici e Casse Previdenziali: i lavoratori spendono il proprio futuro
Due provvedimenti, destinati ai dipendenti pubblici e ai medici iscritti all’Enpam, consentono l’utilizzo immediato da parte del lavoratore di somme destinate alla previdenza. Vediamo quali sono.
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Dopo il via libera della Corte dei Conti, diviene attuativo il Decreto Ministeriale che consente ai dipendenti pubblici l’anticipo del trattamento di fine rapporto (o fine servizio, secondo l’inquadramento), incluso chi ha avuto accesso alla pensione alla data di entrata in vigore del Decreto Legge 4/2019, ossia il 29 gennaio 2019.
La novità è importante perché il lavoratore pubblico riceve il Tfs/Tfr solo al momento della cessazione del rapporto e con tempi in alcuni casi superiori a due anni. Al pari dei dipendenti privati, inoltre, possono accadere eventi tali da necessitare di un anticipo delle somme accantonate.
Il meccanismo è però molto diverso: mentre il dipendente privato fa richiesta al datore di lavoro, il pubblico dipendente dovrà prima rivolgersi all’Inps per ottenere la certificazione del diritto al Tfs/Tfr e del relativo ammontare complessivo. A quel punto, e qui arriva la grande differenza, dovrà chiedere un prestito bancario con a garanzia la cessione “pro solvendo” delle somme derivanti dal trattamento di fine rapporto (o servizio), presentando la certificazione dell’Inps e una dichiarazione sullo stato di famiglia. Il richiedente dovrà poi sottoscrivere la proposta di contratto di anticipo del Tfs/Tfr. L’importo massimo finanziabile è pari a 45.000 euro o, se minore, l’importo del Tfs/Tfr spettante.
Due sono gli aspetti che colpiscono: come per l’Ape (Anticipo Pensionistico), si è costretti a passare per un prestito bancario. La cessione del credito, inoltre, è pro solvendo: se il Tfs/Tfr non venisse corrisposto (magari a seguito di un posticipo dei termini), il lavoratore si ritroverebbe debitore diretto della banca, e costretto quindi a negoziare un nuovo prestito in attesa di ricevere il pagamento.
Dicevamo anche dell’Enpam, prima Cassa Previdenziale a prevedere, per i propri iscritti con almeno 15 anni di anzianità e in regola con i versamenti e che a causa della crisi generata dal Covid-19 abbiano subìto una riduzione del fatturato di almeno il 33% rispetto all’ultimo trimestre del 2019, di chiedere un anticipo della pensione. L’importo massimo che si potrà chiedere è il 15% del montante accumulato, per la richiesta è previsto il termine ultimo del 31 marzo 2021.
Una volta ricevuta la domanda verrà calcolato l’importo della pensione annua che spetterebbe all’iscritto e l’anticipo riguarderà il 15% del totale che spetterebbe. Nel caso dell’Enpam occorre il via libera dei Ministeri di Lavoro ed Economia ma soprattutto, come ammesso dagli stessi vertici, il differimento delle imposte fino al momento della pensione. Un punto, questo, che si scontra con la normativa in vigore e che necessiterà di uno specifico approfondimento. In caso contrario, richiedere l’anticipo non sarebbe conveniente.
I due provvedimenti, se da un lato comportano benefici per chi ne necessita, assieme ad altre evidenze quali la sospensione dei versamenti alla previdenza integrativa da parte di un iscritto su quattro, evidenziano come i lavoratori stiano “spendendo” ora il proprio futuro, compromettendolo in maniera spesso difficilmente riparabile.
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