Arriverà la freccia di Robin Hood?
Anche se non si sa con certezza se sia esistito un bandito con questo nome, a partire dal XIII secolo la tradizione ha fatto di Robin Hood un personaggio popolare, che incarnava le richieste di giustizia delle classi oppresse d’Inghilterra.
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Il sistema pensionistico forense è un meccanismo redistributivo che trasferisce le risorse prodotte dagli avvocati, anche pensionati, attivi verso chi ha maturato i requisiti anagrafici e contributivi per la pensione di vecchiaia (tratto solo di questa provvidenza).
Il sistema pensionistico forense ha:
- Una funzione assistenziale, che richiede una dissociazione tra contributi versati e pensioni percepite in modo da favorire i redditi bassi;
- Una funzione previdenziale per garantire un trattamento in conformità all’art.38 della Costituzione.
Ogni riforma deve garantire:
- l’equità assistenziale, nel senso che un livello di tutela minima deve essere assicurato a tutti;
- l’equità previdenziale, nel senso che a tutti, a parità di durata della vita lavorativa, deve essere assicurato lo stesso tasso di sostituzione (rapporto tra pensione e ultimo reddito);
- l’equità attuariale, nel senso che a tutti deve essere garantito lo stesso tasso di rendimento interno (valore attuale dei contributi versati al valore attuale del flusso di pensioni).
Cassa Forense gestisce la previdenza nel sistema di finanziamento a ripartizione, con parziale patrimonio di riserva rispetto al debito maturato, e quindi la massa dei contributi versati è destinato al finanziamento delle pensioni erogate nello stesso periodo.
Cassa Forense ha due problemi esistenziale per la sua tenuta che sono:
- demografico con il calo delle iscrizioni;
- reddituale con la contrazione dei redditi e la concentrazione nel 7% degli iscritti per quasi il 50% del Pil.
Questi due problemi non si possono risolvere con le riforme strutturali del sistema, se non allungando l’agonia con un accanimento terapeutico.
Sono temi che dovrebbe affrontare la politica prendendo atto della situazione demografica e reddituale dell’avvocatura italiana.
«Dalla Tabella 6 risulta in primis che, un numero non trascurabile di iscritti agli Albi non ha ricavato nulla dallo svolgimento della propria attività professionale ed ha pertanto dichiarato reddito pari o inferiore a zero, questi costituiscono il 6,1% degli iscritti, pari a 13.887 professionisti; ben 79.582 professionisti invece, pari al 31,4% dei dichiaranti, hanno prodotto un reddito inferiore al limite massimo stabilito per accedere ad agevolazioni contributive (pari a euro 10.300). Numero più contenuto è invece rappresentato da coloro che dichiarano redditi superiori al tetto pensionistico di 100.700 euro, sono stati pari a 15.798 (16.880 lo scorso anno) professionisti circa il 7,0% degli iscritti (7.65 lo scorso anno), i quali però, producono quasi il 47% del totale della ricchezza prodotta circa 4.007 milioni di euro su un totale di 8.535 totale del monte reddito ai fini Irpef». (I numeri dell’Avvocatura al 2021, 1/2022 gennaio – aprile, Giovanna Biancofiore, attuario di CF).
Tratto da Diritto e Giustizia
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