Anno: XXV - Numero 236    
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Automazione, progresso, lavoro e dignità.

La pandemia sta imponendo la rimodulazione e la riorganizzazione delle attività produttive secondo i canoni ispirati al progresso tecnologico in atto e coordinati con la tutela della salute del singolo e dell'ambiente

Automazione, progresso, lavoro e dignità.

Parlare di automazione, progresso tecnologico, dignità ed evoluzione di stili di vita con e attraverso il lavoro,  appare ormai indispensabile in una realtà che prima dell’emergenza Covid era già lo spettro di sé stessa rispetto alle intenzioni dei nostri padri costituenti. Ma non sarà semplice. Le evoluzioni post Covid saranno influenzate da forze contrastanti. Molti paesi punteranno su di un potenziamento della transizione ecologica delle economie, approfittando dello shock economico che stiamo subendo e strumentalizzando la fragilità, intesa come condizione base per affrontare l’emergenza climatica.  In Europa,  la dichiarazione di emergenza climatica rappresenta sicuramente un dato di partenza fondamentale per molti settori.  Altri, invece, resteranno ancorati a posizioni conservatrici a consolidamento di interessi economici perdenti rispetto al quadro delineato. È innegabile che la pandemia ha determinato una riconsiderazione e ridimensionamento di tutte quelle attività che, anche attraverso lo stop subito,  hanno mostrato la loro incidenza in negativo sull’ambiente, sulla terra, che quasi sembra si stia prendendo la sua rivincita sugli umani, riconquistando i propri spazi. Si pensi  da un lato alle accertate riduzioni di Co2,  al ridotto inquinamento delle acque, ma, dall’altro, all’incoraggiamento per l’incentivazione dell’elettrico (pur con le accorte e future ricadute dovute agli smaltimenti), del trasporto ciclabile, dello Smart working e via di seguito. L’industria petrolifera ha accusato il colpo secondo i paradigmi della decarbonizzazione e i governi, tra cui l’Italia,  sono chiamati  a lavorare per l’inserimento del principio dello sviluppo sostenibile in Costituzione, per ridurre le emissioni di CO2 in tempi più rapidi e certi e per spingere il sistema  verso la conversione ecologica. La promozione di una generazione energetica diffusa  e rinnovabile è obiettivo che si affianca al ripensamento e conseguente trasformazione  del lavoro e delle attività produttive alla luce delle criticità operative e gestionali evidenziate dalla pandemia in atto. Una trasformazione dunque necessaria ed indifferibile,  pena la sopravvivenza in termini essenziali (la tutela del diritto alla salute  del singolo e nelle comunità di riferimento) e la tutela del lavoro, che al singolo dovrebbe garantire dignità umana e sociale, mentre, al momento, sembrerebbe garantire solo apparente sopravvivenza. I nostri padri costituenti decisero di porre alla base della Repubblica il lavoro, come “principio fondativo”. Oggi ha ancora senso parlare di lavoro?E in che termini? L’evoluzione tecnologica che ormai imperversa quasi indolore nelle nostre vite determinerà sicuramente una rimodulazione del concetto di lavoro e,  consequenzialmente,  un modo diverso di concepire la società. La produzione di beni capitali necessiterà sempre di forza lavoro, ricerca, manutenzione e diffusione, ma il capitale tecnologico determinerà la cosiddetta “rivoluzione  tecnologica ” (per alcuni versi già in atto) che assumerà impatti dirompenti e/o sorprendenti a seconda della percezione che di essa avranno le professioni e tutto il mondo del lavoro. I processi di automazione e digitalizzazione, per quanto ancora controllati e programmati  dall’uomo, a breve sostituiranno completamente l’umana ingerenza, divenendo protagonisti a pieno titolo nel processo produttivo e determinando la scomparsa radicale dei posti di lavoro….e delle professioni o, quantomeno, una drastica riduzione degli interpreti delle stesse. Il progresso tecnologico genererà miglioramenti e progresso in termini di ottimizzazione e sintesi delle prestazioni lavorative, ma a fronte di una certa e statisticamente acclarata perdita dei posti di lavoro. Il reddito e la sua distribuzione saranno appannaggio di pochi. Coloro che riusciranno ad uscire dal meccanismo investendo su  una evoluzione degli stili di vita potranno sperare di liberarsi dalla formula  lavoro/bisogno/schiavitù .La profezia Keynesiana però, ad oggi,  non si è ancora realizzata e la globalizzazione ormai impone che chi ha il potere ed il controllo sull’automazione detterà le regole del gioco ai danni di una grande maggioranza che resterà senza lavoro e senza reddito. La diseguaglianza in termini di distribuzione e fruizione delle tecnologie, la disomogeneità nella distribuzione del reddito da essa generata,  la scelta delle multinazionali di preferire un paese piuttosto che un altro per indirizzare i propri investimenti, a seconda di una legislazione più o meno favorevole all’automazione….tutti questi elementi, messi insieme, indeboliranno le professioni che si faranno trovare impreparate e, di conseguenza, indeboliranno la democrazia.

Il popolo non è sovrano, non lo è mai stato perché

“abituato per millenni alla lotta per la sussistenza, e non potrà liberarsi dalle catene del bisogno, dedicarsi a lavori più creativi, ed essere posto di fronte al suo reale problema, ossia come impiegare la sua libertà dalle cure economiche più pressanti, come impiegare il tempo libero che la scienza e l’interesse composto gli avranno guadagnato, per vivere bene, piacevolmente e con saggezza.”

Il lavoro continua ad essere, senza ogni ombra di dubbio, la migliore misura della dignità di una persona, ma esiste una parte importante della classe politica del Paese che al lavoro preferisce il vitalizio, la sinecura, la poltrona, la tangente, il malaffare, lo scambio di favori e quella pioggia di benefici che molti eletti, per esempio, hanno distribuito a se stessi.

Non sarà semplice avviare una riconversione delle professioni,  delle attività e degli investimenti per realizzare un “Green new deal post Pandemia ” perché ciò imporrebbe un “nuovo” sviluppo  svincolato dai parametri del profitto sin ad ora  garantiti dalle politiche economiche  inquinanti, distruttive ed orientate e pilotate dal partitismo amorale che permea l’intero sistema sino al malaffare. Si aprirà comunque, e deve aprirsi, un nuovo mercato, che dovrà tenere  conto, non solo in termini economici ma sostanziali ed etici, che la Terra è unica ed è un dovere politico e sociale preservarla e tutelarla per i nostri figli. Il lavoro,  se non depurato dalle disuguaglianze e asimmetrie generate dalla diversità del tessuto sociale, economico e morale, se non realmente permeato da uno sforzo di “equo livellamento delle opportunità e dei punti di partenza”, sarà principale elemento di selezione  acuendo in maniera irreversibile le diversità fino all’annientamento di interi settori produttivi e delle individualità che in essi trovavano  sostentamento e dignità.

 

 

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