Anno: XXVI - Numero 46    
Giovedì 6 Marzo 2025 ore 13:45
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Chi non vuole una Corte dei conti presidio della spesa pubblica?

È stata la prima magistratura ad estendere la propria giurisdizione sull’intero territorio dello Stato appena istituito a dimostrazione che la gestione dei bilanci deve essere la prima preoccupazione di chi governa in nome del popolo.

Chi non vuole una Corte dei conti presidio della spesa pubblica?

La Corte dei conti è passata indenne dal Regno alla Repubblica essendo la longa manus del Parlamento al quale ha sistematicamente riferito sugli esiti dei controlli eseguiti per mettere i rappresentanti del popolo nelle condizioni di valutare l’affidabilità delle previsioni di spesa e di entrata indicate nello schema di bilancio di previsione dello Stato. Infatti, nel dire di come l’Amministrazione ha speso e di come ha saputo riscuotere imposte e tasse nell’esercizio finanziario appena concluso, la Corte ha fornito elementi preziosi di valutazione al decisore politico. E pertanto dallo Stato il referto sull’esito della gestione è stato esteso alle regioni cui sono attribuiti servizi importanti per la comunità, in particolare la sanità ed il trasporto locale, così che anche ai Consigli regionali la magistratura contabile riferisce in occasione dell’annuale giudizio sui rendiconti regionali.

“Ausiliare” dunque è stato definito questo ruolo, con l’aggiunta “della Repubblica” per sottolineare che il controllo di legalità, preventivo sugli atti e successivo sulle gestioni, ha un tratto di innegabile collaborazione con il gestore delle risorse pubbliche essendo entrambi, l’Amministrazione e la Corte dei conti, destinatari di una identica missione, quella del buongoverno della finanza pubblica che la prima realizza attraverso la spesa e la riscossione di imposte e tasse e la seconda attraverso la garanzia “obiettiva” (per questo motivo affidata ad una magistratura) che tutte le operazioni incidenti sul bilancio siano conformi a legge.

Di questi ruoli sono consapevoli i cittadini. E ne dà frequentemente conto il dibattito politico, in Parlamento, sui giornali e nei conversari della gente attenta alla spesa pubblica attraverso la quale le amministrazioni provvedono all’acquisizione di beni e servizi per la comunità. Attenti in particolare i cittadini a che non si verifichino sprechi in presenza di risorse in ogni caso scarse rispetto alla varietà ed alla dimensione delle esigenze sempre crescenti che ci si attende siano soddisfatte a carico dei bilanci dello Stato e degli enti pubblici.

È stato un tema trattato in tutte le relazioni con le quali a Roma e nei capoluoghi di regione i presidenti delle sezioni della Corte dei conti hanno aperto l’anno giudiziario della magistratura contabile nelle sue articolazioni territoriali. A cominciare dalla sede centrale, le Sezioni Riunite, quando, alla presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, e dei rappresentanti del Governo, del Parlamento e delle autorità civili, militari e religiose, il Presidente della Corte, Guido Carlino, ha richiamato il ”ruolo centrale che la magistratura contabile riveste nel sistema costituzionale e nell’ordinamento della Repubblica”. In particolare sottolineando come la Corte “nel proteggere e custodire i beni comuni, coinvolge ogni cittadino, ogni amministrazione e ogni responsabile della res publica in un progetto più grande: quello di costruire insieme un Paese più giusto, equo e trasparente”. Aggiungendo che “in coerenza con gli impegni assunti a livello europeo, divengono essenziali un sempre più attento utilizzo delle risorse pubbliche e la scelta delle priorità da conseguire, in linea con le esigenze politiche ed economiche, al fine di dare risposte adeguate alle giuste e diversificate istanze dei cittadini, delle famiglie e delle imprese”. A tale risultato contribuisce la magistratura contabile che, “con le sue ampie e diversificate funzioni, articolate sul territorio, costituisce una salda rete di protezione per le risorse pubbliche, necessarie anche per garantire i diritti sociali che caratterizzano lo Stato democratico disegnato dalla Costituzione”.

E poiché la Carta fondamentale riconosce a questa magistratura una posizione centrale nel sistema istituzionale, “il cuore della legalità finanziaria… un ruolo cruciale per la democrazia, ampiamente delineato dalla Corte costituzionale in numerose pronunce”, il Presidente ha ricordato come “ogni spreco di denaro pubblico è un danno non solo per la Repubblica, ma anche per ogni cittadino che ha il diritto di vedere gestite con onestà e trasparenza le risorse destinate alla collettività”.

Non solo controlli, dunque, ma anche una giurisdizione sui conti di chi gestisce denaro pubblico e sulla “responsabilità erariale”, fondamentale strumento di tutela, “nell’interesse della collettività e dei singoli, rispetto ai disservizi a danno dei cittadini, alla deviazione di risorse da destinare all’erogazione di servizi pubblici efficienti ovvero all’illecito arricchimento perpetrato a danno dell’erario”. Anche in caso dell’impiego dei contributi e dei finanziamenti pubblici, di provenienza unionale.

Si tratta di un sistema di responsabilità “coerente con i principi costituzionali” sicché – ha ribadito il Presidente Carlino – “eventuali modifiche al regime della responsabilità erariale dovrebbero sempre rispettare un approccio misurato, limitando la portata delle esclusioni di responsabilità a contesti straordinari e ben definiti”, come affermato dalla Consulta (sent. n. 132/2024), considerato che la responsabilità amministrativa e il suo Giudice naturale, la Corte dei conti, “assicurano al pubblico dipendente un regime speciale che già tiene conto del giusto bilanciamento tra la responsabilità e le esigenze di celerità ed efficienza dell’azione amministrativa attraverso la valutazione, pur in presenza di un danno risarcibile, dei vantaggi conseguiti dalla comunità amministrata e l’esercizio di un ampio potere riduttivo dell’addebito”.

Un evidente riferimento alle ipotesi di riforma soprattutto per le conseguenze “di eventuali limitazioni della responsabilità erariale, con riduzione dello spazio della giurisdizione contabile, che condurrebbero l’attività dannosa del pubblico funzionario nel più generale alveo dell’illecito civile, con assoggettamento allo statuto generale della relativa responsabilità, certamente meno attenta alla “fatica” dell’amministrare”. Sono le perplessità manifestate anche dall’Associazione Magistrati della Corte dei conti più volte esposte dal Presidente dell’Associazione, il Consigliere Paola Briguori, in occasione dell’audizione che ha avuto luogo alla Camera, anche con riferimento alla pronuncia delle Sezioni riunite (parere reso con del. n. 3/2024), nello spirito di leale collaborazione che, per antica tradizione, avvicina la Corte e il Parlamento in un proficuo dialogo.

In effetti lascia stupiti come le ipotesi di riforma abbiano preso le mosse da iniziative di esponenti della maggioranza di governo, in particolare dell’On. Tommaso Foti, all’epoca Presidente del Gruppo parlamentare della Camera di Fratelli d’Italia, oggi Ministro per gli affari regionali, un partito che, dall’opposizione ha costantemente invitato la Corte ad effettuare maggiori e più penetranti controlli. Ma si sa che, cambiato ruolo, spesso mutano anche gli ideali. E così i magistrati contabili vengono accusati di ingerenze, di invasioni di campo difficili da immaginare leggi alla mano. Ed invece di dire grazie per essere stati mantenuti nella legalità, i pubblici amministratori e funzionari spesso si scagliano contro gli uffici di controllo e propongono riforme che ne limitano le funzioni. E si è messa in campo la favoletta del “timore della firma”, cioè la preoccupazione di essere condannati per danno erariale, un tempo sconosciuta probabilmente in ragione di una maggiore professionalità della classe politica e amministrativa.

Sembrano passati molto più dei 163 anni che ci separano dal discorso di Quintino Sella, l’arcigno Ministro delle finanze che, inaugurando la Corte dei conti il 1° ottobre 1862 ricordava ai magistrati contabili che “è vostro compito il vegliare a che il Potere esecutivo non mai violi la legge; e dove un fatto avvenga il quale al vostro alto discernimento paia ad essa contrario, è vostro debito il darne contezza al Parlamento”.

Sono parole espressione di un senso dello Stato che non dovrebbe cambiare nel tempo. Eppure…

di Salvatore Sfrecola

 

 

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