Anno: XXV - Numero 237    
Venerdì 27 Dicembre 2024 ore 13:30
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Ci si agita perché non si è in grado di fare sintesi.

La sintesi condivisa dei protocolli locali...le autonomie locali e la mancanza dell'autorità nazionale dell'avvocatura.

Ci si agita perché non si è in grado di fare sintesi.

La diversificazione e proliferazione dei protocolli tra tutti i distretti di corte di appello italiani, corrisponde, salvo ipotesi diverse da accertare caso per caso, alle diverse realtà territoriali cui si riferiscono e al gioco degli equilibri tra Coa , Uffici Giudiziari e Regioni. Almeno questo è il quadro che emerge dalla situazione in atto . Senza mai perdere di vista le linee generali, formali e sostanziali cui  attenersi, dettate dalla legislazione civile e penale, ci si doveva coordinare per organizzare la famosa ripartenza delle attività. Che dunque i protocolli siano diversi e numerosi non deve destare scalpore, anzi è giusto che sia così. Deve far riflettere la posizione invece di quell’ avvocatura istituzionale e politica che avrebbe dovuto fare sintesi di tutte le esigenze dei vari uffici giudiziari italiani. Durante la fase “uno”, assente un “protocollo nazionale in tema di giustizia” , assente il ministro della giustizia  , unitamente alle massime rappresentanze dell’avvocatura, istituzionali e politiche, assente  una rappresentanza unitaria capace di fare una sintesi coordinata da tradurre in un unico “documento” è presente la sola proclamata agitazione destinata a concretizzarsi in una astensione di fatto dalle udienze, quelle poche che riusciranno a celebrarsi. Una agitazione senza “proposizione di iniziative ” diretta alla revoca della partecipazione ai “tavoli , tanto ambiti, della concertazione,  espressione della sola volontà di abdicare al proprio ruolo  di rappresentanza. Agitarsi e abdicare , significa lasciare soli gli altri interlocutori della trattativa a determinare destino e sorti della ripresa dell’attività giudiziaria. Non esprimo altre valutazioni e quindi non metto in dubbio l’intensa attività svolta dai vari Coa italiani durante l’emergenza Covid. Ho espresso il mio pieno appoggio quando si è trattato di procedere, per il Coa napoletano,  all’astensione motivata dalle sopravvenute esigenze di sicurezza e di salute di tutte le categorie aventi rapporti con la Giustizia ma abbandonare l’interlocuzione con gli uffici giudiziari, per quanto conflittuale e improduttiva dei risultati concreti e sperati è da un lato una resa e dall’altro un segnale di chiara abdicazione alla rappresentanza istituzionale dell’avvocatura. Agitarsi e andar via, dai famosi tavoli di concertazione, laddove imbanditi, non ha alcun senso. Significa lasciare soli gli altri interlocutori a decidere delle nostre sorti e alimentare ulteriori malumori e dissapori in una categoria già spaccata e frammentata,  nelle esigenze e nelle personalità. L’agitazione non propositiva ma prodromica ad un’astensione delle eventuali udienze che saranno trattate, getta la categoria in un abisso dal quale sarà  impossibile risalire. La ripartenza auspicata lascia il passo ad un’agitazione prolungata , espressione unicamente della mancanza di un riferimento univoco nella categoria.  C’è anche chi ritiene di dover tornare indietro, di riaccomodarsi ai tavoli…e tornare a discutere. L’evidenza del fallimento di tutte le rappresentanze forensi, istituzionali e politiche è tale da annebbiare completamente ogni capacità di ragionevole sintesi programmata nell’interesse della categoria. La verità è che la condotta  di un Cnf delegittimato,  sia per il comportamento di reiterata inosservanza della legge dei sospesi, sia per la tolleranza dei membri ancora presenti, ancora in piena continuità con l’attività di chi li ha preceduti,  giustificherebbe da parte dell’avvocatura una richiesta di dimissioni dell’intero consesso. Analogamente per l’organismo di rappresentanza politica dell’avvocatura, che nonostante l’analisi condotta sulle criticità, ante e post Covid 19 , proclama a livello nazionale una agitazione fine a se stessa, quasi un impulso uterino da placare con amorevoli rassicurazioni…ma da parte di chi? Il Ministro è  assente…ha perso il principale interlocutore ormai sospeso ma ancora impegnato,  insieme ad altri, a continuare a dare corso all’attività ancora consentita nelle fondazioni e associazioni satellite di cui si compone il potere clientelare dell’avvocatura italiana,  in un programmato tentativo di resistere al necessario ricambio generazionale della rappresentanza forense che si impone ormai…”da remoto”, volendo attualizzare anche l’espressione. La sintesi delle esigenze locali doveva avvenire a mezzo di una rappresentanza politica dell’avvocatura che non è stata in grado di proporsi come valido interlocutore con il governo. Abbandonato il sodalizio tra presidente sospeso del Cnf e Ministro claudicante, dall’avvocato in Costituzione siamo passati alla rappresentazione  dell’ avvocato paladino di se stesso, con la Toga nel cuore e con le tasche vuote, unitamente all’esercito degli scontenti…ma non troppo…per invocare le dimissioni del ministro, dell’intero Cnf e dell’Ocf e per gridare alla necessità di un nuovo vero Congresso dell’Avvocatura. Nelle more, i Coa locali dovrebbero, seppur con le difficoltà evidenziate e riscontrate , “conservare i protocolli sottoscritti e la partecipazione ai tavoli della concertazione ” sino a quando la necessaria sintesi politica ed istituzionale non converga in soggetti realmente in grado di porsi come interlocutori “non ricattabili ” con le istituzioni politiche, dalle quali ottenere il necessario “documento unico sulla ripartenza della giustizia.” Nel frattempo …agitarsi è meglio…confondere è meglio…lasciare ad altri le responsabilità della mancata ripartenza è semplice …per non assumersi le proprie.

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