Ciò che molti avvocati non capiscono
Vediamo quale è il problema.
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Giorni fa un Collega, del quale ovviamente non faccio il nome, mi ha mandato
una accorata mail che qui trascrivo nel suo nucleo centrale: «Ti rappresento
un’assurdità insita nel sistema previdenziale forense: Tizio (ovvero io stesso)
versa i richiesti contributi per anni 27 dopodiché decide di produrre domanda di
vecchiaia ex artt. 51 Regolamento. Il montante contributivo ad oggi versato
ammonta ad € 135.038,00 al lordo del cosiddetto tetto reddituale. Per effetto del
pensionamento, gli viene corrisposta la pensione annua lorda di € 6.064,37.
Pensione posta al di sotto del minimo INPS ed al di sotto della soglia di povertà;
pensione del tutto inadeguata ex art. 38 Cost.. Ogni anno successivo, Tizio deve
versare il 12,5% del proprio reddito netto fatturato così perdendo,
sostanzialmente, gran parte della propria rendita pensionistica annua. Oltretutto,
Tizio non potrà fruire dell’integrazione al minimo anche quando non professerà
più. Difatti, la pensione erogata su base contributiva non può godere del
suindicato beneficio. Ciò viene giustificato col fatto che la pensione contributiva
può essere erogata anche a colui che abbia solamente versato 5 anni di
contribuzione. Pertanto, di fatto non sussiste diversità di trattamento
previdenziale tra chi ha versato contributi solamente per 5 anni e chi ne ha
versarti, ad esempio, per 34. La differenza del montante contributivo? Cosa
dire?»
Vediamo quale è il problema.
Con la recente riforma previdenziale entrata in vigore il primo gennaio 2025,
Cassa Forense, per venire incontro alle difficoltà reddituali di circa centomila
Colleghi, ha ridotto la contribuzione minima soggettiva da € 3.355,00 a €
2.750,00 all’anno e il contributo minimo integrativo da € 850,00 a € 350,00,
ridotto poi alla metà, per 6 anni, per gli iscritti di età inferiore a 35 anni, ma con il
riconoscimento pieno agli effetti del diritto alle prestazioni.
Ora nel sistema di calcolo contributivo al quale Cassa Forense è transitata dal
01.01.2025, in pro rata temporis, vige un principio basilare che è il seguente: LE
ALIQUOTE DI CALCOLO DEI CONTRIBUTI PREVIDENZIALI SONO
PARAMETRI NECESSARI, NEL SISTEMA CONTRIBUTIVO, PER
DETERMINARE IL MONTANTE SUL QUALE SARA’ POI CALCOLATO
L’ASSEGNO PENSIONISTICO.
Ne consegue che se la contribuzione minima viene ridotta, ne risulterà ridotta
anche la pensione la quale, in molti casi – come denunciato numeri alla mano dal
Collega – risulterà al di sotto della soglia di povertà e quindi del tutto inadeguata
ex art. 38 Costituzione.
Come si esce da questa congiuntura negativa?
Vi è un solo modo ed è quello di incentivare politiche reddituali in favore della
avvocatura italiana, oggi divisa in due fazioni: una esigua pari a circa l'8% del
totale, molto ricca, perché titolare del 50% del’intero PIL della avvocatura che,
nel resto, si divide il residuo 50%, insufficiente a garantire una pensione in linea
con il parametro di adeguatezza costituzionale.
Lo scrivo – inascoltato – da 14 quaderni che pochissimi hanno letto, perché all’indice.
La politica, prima della rivolta forense, dovrà occuparsi del problema creando le condizioni perché l’avvocatura, ritenuta indispensabile nella giurisdizione, sia pure ridotta nei numeri, possa vedere aumentato il proprio PIL, meglio distribuito tra gli iscritti, perché tutti possano godere di un trattamento pensionistico adeguato.
Senza reddito adeguato, la pensione non sarà adeguata.
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