Cosa c'è dietro la retromarcia di Conte
Non occorre essere raffinati retroscenisti per capire che cosa è accaduto prima della conferenza stampa di Giuseppe Conte durante la quale dovevano essere illustrate le direttive per l’apertura della fase 2
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Del resto, lo hanno fatto capire gli stessi protagonisti: il premier ha giustificato la marcia indietro (rispetto alle attese e agli annunci lasciati filtrare nei giorni precedenti) facendo riferimento alle preoccupazioni degli scienziati sulla possibile ripartenza del contagio; questi ultimi hanno reso noto un documento sottoscritto da tutti i virologi, ospitati a tempo pieno, da 50 giorni, sugli schermi televisivi, nel quale erano prefigurate vere e proprie catastrofi umanitarie che avrebbero sottoposto nuovamente le strutture ospedaliere al rischio del collasso. In sostanza, al primo tentativo della politica di sottrarsi alla “tirannia” della scienza è emerso con chiarezza che il club dei virologi non intende farsi da parte. In ballo non ci sono solo banali questioni di prestigio, ma molto di più: a chi deve toccare la responsabilità di una riapertura precoce, da cui derivino nuovi focolai sparsi nella Penisola. Che si dovesse arrivare a un momento della verità era scritto nella stessa linea di condotta seguita dal governo (rectius, dal presidente del Consiglio). Una volta scoppiata l’epidemia, il governo ha cercato e trovato una copertura da parte del mondo scientifico. Un po’ come quando – a fronte di una riforma delle pensioni che metteva in discussione legittime aspettative – gli esecutivi cercavano di cavarsela con un ‘’ce lo chiede l’Europa’’, anche se era un’esigenza imprescindibile per la sostenibilità del sistema. Quando si è capito che l’epidemia era un grave pericolo per la salute degli italiani e che, per difendersi, occorreva chiudere le aziende e confinare le persone a casa loro per diverse settimane, il governo si è appoggiato alla scienza e si è lasciato dettare la strategia (così hanno fatto le Regioni e quant’altro). Solo che questa volta lo scarico del barile ha funzionato: l’opinione pubblica, terrorizzata dal ‘’male oscuro venuto dalla Cina’’, ha seguito pedissequamente i consigli dei virologi come tradotti un po’ maldestramente nella sequela dei dpcm di Conte. Così la comunità scientifica – nonostante i suoi dispareri e la semplicità delle indicazioni terapeutiche – ha acquisito un largo consenso nel Paese. Il governo – quando si è accorto che l’economia andava in malora e che il sistema produttivo non avrebbe potuto reggere a lungo la quarantena (attenzione, non c’è di mezzo solo il profitto, ma l’occupazione e la stessa possibilità di trovare ancora del cibo sugli scaffali dei supermercati) – ha cercato di cambiare linea, confidando di ottenere la copertura della scienza, in modo da accollarle una parte di responsabilità se le cose fossero andate male. Chi non ricorda il perentorio aut aut del ministro Francesco Boccia il quale pretendeva dagli esperti un parere condiviso e definitivo sulla possibilità di una riapertura? Ma i consulenti sanitari non sono stati disponibili (all’insegna del pereat mundus salus fit) a farsi trascinare sul banco degli imputati, insieme all’esecutivo, nel caso di una nuova ripresa del contagio. È così – carte alla mano – erano pronti a dissociarsi da un’iniziativa del governo da loro considerata prematura. A Conte non è occorso molto tempo per capire che le ipotesi gravissime formulate dal documento, una volta rese note, avrebbero travolto il governo. E ha dovuto fare marcia indietro in diretta televisiva, fornendo, a voce, chiarimenti limitativi di quelle aperture, già mutilate, contenute nel testo che leggeva. Chissà perché a chi scrive è venuta in mente – mutatis mutandis – un’altra occasione in cui un governo fu costretto a innescare la retromarcia, in modo più palese ed esplicito di quanto non abbia dovuto fare sabato Conte. Nel 1992, ai tempi dell’inchiesta ‘’Mani pulite’’, il governo Amato ritirò a furor di popolo il decreto Conso, dopo che i magistrati del pool della procura di Milano (allora beniamini del pubblico e dei media) minacciarono le dimissioni se quel provvedimento fosse stato presentato alle Camere. Nei giorni scorsi, in una intervista, Wolfgang Schauble, già ministro delle Finanze di Angela Merkel, ora presidente del Bundestag, ha dichiarato che le decisioni ‘’non possono essere lasciare interamente nelle mani dei virologi’’ e che, nei confronti delle imprese, ‘’lo Stato non può sostituirsi al fatturato per sempre’’. Ma Schauble è tedesco.
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