Da oltremanica una lezione di democrazia nella stabilità.
Una lezione importante di democrazia viene da oltremanica.
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Con il voto di giovedì scorso il popolo inglese ha dimostrato che è possibile cambiare totalmente linea politica senza quelle divaricazioni che ben conosciamo in Italia. Il passaggio da una ad un’altra maggioranza, che già ha caratterizzato in passato momenti significati nella vita di quella nazione come quando, all’indomani della fine della guerra, nel 1945, il Primo Ministro Sir Winston Churchill, che l’aveva gestita con straordinaria determinazione di fronte all’aggressione tedesca, fu mandato a casa perché gli inglesi ritennero che nella fase nuova della ricostruzione di un paese martoriato servissero altre doti, nonostante il primo ministro avesse dimostrato per una lunga esperienza politica di essere capace di governare.
Ma qual è il segreto della stabilità inglese? La monarchia. Non lo dice nessuno dei nostri commentatori politici, editorialisti e quirinalisti, ma la realtà è che l’inglese vota con tranquillità perché sa che, chiunque vinca, non metterà in forse l’ordinamento dello stato che da tempi antichi governa l’Inghilterra. In sostanza, quel che hanno dimostrato i nostri partiti, di creare riforme essenzialmente immaginate contro qualcuno, come nel 2001 quando la riforma del Titolo V della Costituzione fu voluto dalle sinistre nel tentativo di fermare la Lega di Salvini in quel momento in forte crescita. Non sarebbe mai accaduto oltremanica. Né in quel paese sarebbe possibile immaginare che un primo ministro, con una maggioranza nel turno elettorale europeo, in realtà una minoranza sul totale degli elettori, invece di impegnarsi a far funzionare l’apparato revisionandolo per renderlo più snello al fine di perseguire le politiche pubbliche secondo l’indirizzo politico immagina una serie di riforme, del governo con limitazione dei poteri delle Camere e del Capo dello Stato, e del sistema delle autonomie in forma “differenziata” che, in mancanza di condizioni di partenza uguali per tutte le regioni, è destinata ad aggravare la crisi del Mezzogiorno. Di più avvia una riforma della giustizia, immaginata evidentemente sull’onda di emozioni più che di riflessioni con la eliminazione del reato di abuso di ufficio sulla base di ragionamenti, di statistiche e di considerazioni che attengono in realtà ad una precedente normativa che effettivamente costituiva una remora all’agire degli amministratori pubblici per la genericità della previsione della fattispecie incriminatrice. Nell’ultima versione il reato di abuso d’ufficio prevede che chi abusa debba trarne un vantaggio per sé o per altri e per questo è chiamato un “reato spia” perché in qualche modo ipotizza una condotta che è molto vicina a quella della corruzione e della concussione.
Tornando alle elezioni inglesi va anche osservato che il vincitore ha ottenuto il risultato che lo porterà nel giro di poche ore ad occupare gli uffici al n. 20 di Downing Street per aver collocato il partito su posizioni, direi più ragionevolmente moderate evidentemente apprezzate dall’elettorato, Non dobbiamo infatti dimenticare, lo ripeto ancora una volta, che in Inghilterra il sistema elettorale privilegia il rapporto diretto fra elettore e candidato come dimostra il fatto che il leader laburista Corbyn, espulso dal partito, presentatosi autonomamente nel collegio dove era stato eletto in precedenza, è stato confermato dai suoi elettori.
È una grande lezione di democrazia, anche perché in Inghilterra non sarebbe stato necessario quel richiamo teorico, ma comprensibilissimo, del Capo dello Stato alle regole che devono presiedere alla gestione del governo. A Londra, infatti, c’è una regola antica, lo statuto dell’opposizione, che, anche per questo è responsabilizzata, è consultata dal Sovrano e dal Primo Ministro perché tutti i parlamentari, della maggioranza e dell’opposizione, nella logica della cultura politica inglese concorrono alla realizzazione degli interessi generali del Regno.
Dobbiamo imparare molto dall’esperienza governativa e dalle regole elettorali inglesi. Lo diceva, già sul finire dell’Ottocento, Vittorio Emanuele Orlando il grande giurista liberale fondatore della scuola italiana del diritto pubblico che individuava nel sistema inglese un elemento di stabilità e di corretta interpretazione del sentimento popolare.
I nostri partiti continuano a preferire un sistema di liste in collegi vasti dove gli elettori non conoscono i candidati i quali vengono eletti secondo la posizione indicata dai partiti. Li chiamiamo eletti, di certo formalmente.+, ma in realtà sono nominati dalle segreterie dei partiti. Per questo la democrazia langue.
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