Dirigente nomina dirigente?
Non funziona così
In evidenza

“Sto cercando di introdurre un sistema che dia la possibilità al dirigente di proporre un proprio collaboratore per la qualifica di dirigente”. È un’idea del Ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo. Insomma, intende proporre al Consiglio dei ministri di prevedere che si possa diventare dirigente pubblico anche senza concorso, in sostanza per cooptazione, per scelta di uno già dirigente. Ed è da presumere che vi ricorreranno dirigenti di nomina politica, quelli assurti a tale elevata posizione spesso a seguito dello spoil system o del ricorso all’art. 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, una norma spesso utilizzata con modalità commentate con severità da giuristi e politici seri.
L’ipotesi formulata dal Ministro Zangrillo darebbe una ulteriore mazzata al sistema della dirigenza pubblica degradata sistematicamente negli ultimi anni per effetto di accessi dall’esterno di persone senza esperienza maturata all’interno della pubblica amministrazione e spesso senza quella preparazione professionale che il richiamato art. 19, comma 6, prevede tanto da richiedere ripetute censure da parte della Corte dei conti.
Non solo, quello che ha mortificato la dirigenza pubblica è stata la moltiplicazione dei posti di funzione al di là delle effettive esigenze, che ha portato la proliferazione degli uffici con parcellizzazione delle competenze che ha finito per aggravare i procedimenti.
Un esempio eloquente. Quando nel 2001, a seguito della istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri del Dipartimento per le politiche antidroga, diretto dal Prefetto Pietro Soggiu, fu inserita nel nuovo ufficio la direzione generale del Ministero del lavoro che si occupava della famiglia e del disagio che poteva derivare dalle tossicodipendenze, a Palazzo Chigi si accorsero che quel “generale ufficio” era comporto da ben undici persone, una struttura evidentemente inadeguata. A dirigerla un dirigente generale, un funzionario che nell’ordinamento gerarchico di un tempo era equiparato a generale di divisione. Ebbene si dissero a piazza Colonna, si è mai visto un generale a due stelle che comanda undici soldati? Un esempio per dire di come la moltiplicazione degli uffici abbia annichilito l’amministrazione pubblica. Per evidente responsabilità della classe politica al governo che ha scelto la strada del divide et impera per dominare gli apparati. D’altra parte i funzionari, pur di scrivere sul biglietto da visita “dirigente” non si sono peritati di andare a rivestire un ruolo che in precedenza era proprio di un “Capo sezione”. Qualcuno ricorderà un bel film (1945) diretto da Mario Soldati, interpretato da Carlo Campanini, “Le miserie del signor Travet”, protagonista di una vita grama, tra una moglie capricciosa ed un “Capo sezione” snob. Il Cavaliere era l’unico riferimento del povero Monsù Travet. Sullo sfondo il Capo Divisione. Mai si parla del direttore generale. All’epoca con quella qualifica erano pochi, meno di dieci per ministeri importanti dove oggi siedono in molte decine.
Serve altro per far comprendere al Ministro della pubblica amministrazione che è stata imboccata una strada sbagliata e che perseverare sarebbe diabolico? Il potere politico divide per comandare e non si preoccupa dell’inefficienza dei servizi. E crede di fare cosa buona e giusta sistemando qualche amico o amico dell’amico con la conseguenza di non rendere agli utenti i servizi che si attendono e di perseguire gli obiettivi di politica che sono nel programma di governo.
Come i candidati e i funzionari anche i ministri dovrebbero studiare un po’ di storia dell’amministrazione e magari leggere quel che dell’Amministrazione hanno scritto il più grande statista dell’Italia moderna, il Conte di Cavour, Presidente del Consiglio del Regno d’Italia, e il Primo Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi. Sarebbero chiamati, se intellettualmente onesti, ad un bagno, magari ad un bagnetto, di umiltà salutare.
“Sto cercando di introdurre un sistema che dia la possibilità al dirigente di proporre un proprio collaboratore alla qualifica di dirigente- ha sottolineato il Ministro Zangrillo -. Naturalmente devono sussistere dei presupposti dal punto di vista dei ruoli che sono stati ricoperti, delle performance che ha conseguito nel tempo. A questo seguirà poi un periodo di osservazione in cui la persona viene dedicata ad un ruolo dirigenziale e se nel tempo confermerà la propria adeguatezza ci sarà l’inserimento nel ruolo”.
Il Ministro si sofferma sul rapporto tra “sapere” e “saper fare”. E si chiede se “siamo sicuri che chi studia, chi sa studiare, chi è bravo a passare gli esami sia poi il migliore nel saper fare? Io penso che al sapere, bisogna far seguire il saper fare, non dobbiamo accontentarci del sapere”. Considerazione certamente giusta perché ovunque non basta sapere, occorre anche quella particolare attitudine alla organizzazione e alla direzione che è proprie del dirigente. Ma la ricetta non risolve se attua una scelta discrezionale che trasformerà i possibili candidati in pedissequi servitori, spesso sciocchi, di chi ha il potere di designazione.
Un tempo i dirigenti erano reclutati esclusivamente tra i funzionari della carriera direttiva, quelli che svolgevano anche, all’occorrenza, funzioni vicarie e di reggenza degli uffici. Era una palestra importante. S’imparava a fare il dirigente anche collaborando con il superiore. E s’imparava perché la trasmissione dell’esperienza è stata sempre fondamentale negli uffici pubblici.
Poi sono venuti i ministri “della funzione pubblica” con poca esperienza e molta prosopopea ed è cominciato quel degrado che è difficile oggi fermare. Mancando un Cavour.
di Salvatore Sfrecola
Altre Notizie della sezione

La riforma della geografia giudiziaria
12 Marzo 2025E gli effetti sul funzionamento della giustizia civile.

Il comitato per le politiche macroprudenziali
11 Marzo 2025Vi sono rappresentate, al più alto livello, le autorità nazionali che contribuiscono, a vario titolo, alla tutela della stabilità finanziaria.

Le critiche alle sezioni unite della Cassazione.
10 Marzo 2025Per effetto di questa decisione, il Governo dovrà risarcire – con i soldi dei cittadini italiani onesti che pagano le tasse – persone che hanno tentato di entrare in Italia illegalmente, ovvero violando la legge dello Stato italiano.