Anno: XXV - Numero 216    
Lunedì 25 Novembre 2024 ore 13:30
Resta aggiornato:

Home » Gli autonomi dipendenti

Gli autonomi dipendenti

Il Rapporto annuale 2022 dell’Istat tratta il tema con un capitolo che di seguito trascrivo per intero dato che pochissimi lo avranno letto.

Gli autonomi dipendenti

 

«Gli “autonomi dipendenti”. L’arcipelago del lavoro indipendente si compone di profili professionali molto diversi tra loro. Pur caratterizzandosi per l’assenza di un rapporto formale di subordinazione, ossia di un datore di lavoro, presentano differenti gradi di autonomia in termini di libertà di iniziativa economica e organizzativa. Negli ultimi anni la statistica ufficiale ha messo a fuoco i connotati salienti del lavoro autonomo, identificando figure che presentano alcuni aspetti caratteristici del lavoro alle dipendenze. La nuova Classificazione dell’International Labour Office (ILO), approvata nell’ottobre 2018, ha infatti incluso tra i lavoratori subordinati i cosiddetti dependent contractor (da ora in poi “autonomi dipendenti”), vale a dire gli occupati che pur essendo formalmente autonomi sono vincolati da rapporti di subordinazione con un’altra unità economica che ne limita l’accesso al mercato o l’autonomia organizzativa. Si tratta, in generale, di lavoratori che presentano elevati rischi di fragilità economica a seguito della forte dipendenza che hanno rispetto a un cliente principale il quale, in alcuni casi, definisce luogo e orario di lavoro, spesso fornisce gli strumenti di lavoro e, soprattutto, determina le tariffe e l’accesso al mercato (snaturando in tal modo la vera essenza del lavoro indipendente). Sebbene la riflessione sull’individuazione puntuale di questa sotto popolazione di lavoratori sia ancora in corso, attualmente sono operativamente individuati come indipendenti (senza dipendenti) il cui compenso viene fissato dai clienti o da una terza parte. Nel 2021, i lavoratori in questa categoria sono quasi 500 mila, il 28,1 per cento è costituito da collaboratori o prestatori d’opera, il 32,9 per cento da liberi professionisti, il 39,0 per cento da lavoratori in proprio (Figura 4.5a). Pur essendo tali quote quasi equamente distribuite, oltre la metà dei collaboratori risulta “autonomo dipendente”, mentre questi sono poco più del 10 per cento tra i liberi professionisti e solo il 7 per cento tra i lavoratori in proprio (Figura 4.5b). Inoltre, gli “autonomi dipendenti” sono lavoratori non-standard (cfr. la definizione fornita nel par.4.1.1) nel 35 per cento dei casi: per circa 170 mila lavoratori la fragilità economica si somma all’incertezza lavorativa o alla ridotta intensità di lavoro.

Le donne sono circa un terzo degli “autonomi dipendenti”, ma la maggioranza si osserva tra i collaboratori (51,4 per cento), dato che la presenza femminile si riduce drasticamente tra i liberi professionisti e i lavoratori in proprio. Inoltre, gli “autonomi dipendenti”, in un quarto dei casi sono giovani sotto i 35 anni (44,4 per cento tra i collaboratori) e in quasi un terzo sono lavoratori ultracinquantaquattrenni (che rappresentano oltre un terzo dei liberi professionisti e dei lavoratori autonomi). Gli stranieri sono relativamente pochi (6,5 per cento, ma 12,8 per cento tra i collaboratori) e circa la metà degli “autonomi dipendenti” risiede al Nord. La distribuzione per settore di attività ricalca generalmente quella degli altri autonomi senza dipendenti: una maggiore concentrazione dei collaboratori nei settori dell’alloggio e ristorazione e in quello dei trasporti e magazzinaggio e una maggiore concentrazione dei liberi professionisti nel commercio e nel settore del credito e assicurazioni. I lavoratori in proprio, infine, oltre che in quest’ultimo settore, sono diffusi nell’agricoltura e nel settore dei trasporti e magazzinaggio. I liberi professionisti e lavoratori in proprio tra gli “autonomi dipendenti” ricoprono in prevalenza posizioni tecniche e impiegatizie, mentre i collaboratori sono più diffusi tra le professioni del commercio, dei servizi e in quelle non qualificate. Le professioni più diffuse tra gli “autonomi dipendenti” sembrano configurare l’esternalizzazione di funzioni marginali o collaterali della produzione (in particolare operatori di call center, venditori a domicilio, addetti alle consegne, conduttori di mezzi pesanti), che spesso scarica su questi lavoratori una parte dei rischi di impresa. La fragilità economica e lavorativa degli “autonomi dipendenti” si associa, nel 57,5 per cento dei casi, all’impossibilità di scegliere il luogo di lavoro, perché tenuti a lavorare presso l’azienda e/o il cliente (una quota che tra i collaboratori sale all’83,3 per cento); poco meno della metà è in condizione di monocommittenza (quasi il 70 per cento dei collaboratori) e in oltre un terzo dei casi il cliente fornisce gli strumenti e in quattro casi su dieci stabilisce l’orario di lavoro (oltre il 60 per cento tra i collaboratori) (Figura 4.6).

Essere un “autonomo dipendente” incide anche sui livelli di soddisfazione lavorativa, soprattutto per i collaboratori, insoddisfatti in particolare per le possibilità di carriera e la stabilità dell’impiego» (ISTAT – Rapporto annuale 2022).

Il tema dell’avvocato in regime di monocommittenza, recentemente, è stato trattato in un Convegno del 04.03.2022 (www.facebook.com/OrganismoCongressualeForense.OCF/videos/470457758117520)

Nel Convegno sono state trattate la proposta di legge di iniziativa dei deputati Gribaudo ed altri per una «Modifica all’art. 19 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 in materia di incompatibilità dell’esercizio della professione di avvocato» e la proposta di legge di iniziativa dei deputati D’Orso ed altri «Disciplina del rapporto di collaborazione professionale dell’avvocato in regime di monocommittenza nei riguardi di altro avvocato o di un’associazione professionale o una società tra avvocati»

(www.organismocongressualeforense.news/wp-content/uploads/2022/03/Lavvocato-in-regime-di-monocommittenza.pdf

Secondo le stime di Cassa Forense l’argomento interessa strettamente circa 30 mila avvocati e, con la fine della legislatura, i progetti di legge resteranno tali per la cronaca parlamentare.

Per il Congresso di Catania io avevo inviato una mozione, che peraltro non ha avuto il sostegno, che cercava di risolvere rapidamente il problema modificando esclusivamente l’art. 6 del vigente codice deontologico forense nei seguenti termini:

«art. 6 Dovere di evitare incompatibilità

  1. L’avvocato deve evitare attività incompatibili con la permanenza dell’iscrizione all’albo.

L’incompatibilità non si verifica per gli avvocati che svolgono attività di lavoro dipendente o parasubordinato in via esclusiva presso lo studio di un altro avvocato, di un’associazione professionale ovvero una società tra avvocati o multidisciplinare, purché la natura dell’attività svolta dall’avvocato riguardi esclusivamente quella riconducibile all’attività propria della professione forense secondo un emanando regolamento.

  1. L’avvocato non deve svolgere attività comunque incompatibili con i doveri di indipendenza, dignità e decoro della professione forense» .

Perché non fare un passo in avanti a Lecce in occasione del Congresso nazionale forense? Ah già: non attiene ai temi congressuali

«Nel nostro lavoro abbiamo scelto di concentrarci su due proposte predistributive (che agiscono, cioè, sui redditi di mercato), una redistributiva e due trasversali. Le proposte sono di taglio generale (si potrebbero immaginare anche interventi a livello settoriale o locale) e microeconomico, cioè indirizzate a supportare i redditi individuali e familiari. Concludiamo ribadendo che una strategia complessiva dovrebbe, però, anche affrontare le debolezze macroeconomiche e di politica industriale, le politiche per il lavoro (politiche attive, regolazione lavoro atipico, contrattazione) e gli investimenti in istruzione e formazione con l’obiettivo di aumentare non solo la quantità, ma soprattutto la qualità del lavoro nel nostro Paese. La diminuzione delle disuguaglianze passa anche attraverso la lotta alla povertà da lavoro: garantire condizioni di lavoro dignitose nel presente che siano anche fonte di sicurezza economica nel futuro significa garantire alle lavoratrici e ai lavoratori l’accesso alla piena cittadinanza» (Relazione dei gruppi di lavoro sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia).

Da Diritto e giustizia

 

© Riproduzione riservata

Iscriviti alla newsletter!Ricevi gli aggiornamenti settimanali delle notizie più importanti tra cui: articoli, video, eventi, corsi di formazione e libri inerenti la tua professione.

ISCRIVITI

Altre Notizie della sezione

Archivio sezione

Commenti


×

Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie.