I primi 100 giorni di Giorgia Meloni
Battesimo tra guerra, economia, migranti, Pnrr, antimafia e politica estera
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Il governo di Giorgia Meloni compie oggi i primi 100 giorni. La leader di Fdi, prima donna a diventare presidente del Consiglio, ha ottenuto l’incarico il 21 ottobre scorso, giurando il giorno successivo. Il 23 c’è stato il passaggio della campanella con il presidente del Consiglio Mario Draghi.
Nei primi 100 giorni il Consiglio dei ministri si è riunito 17 volte. Secondo la prima relazione dell’Ufficio per il programma di governo, fino allo scorso 10 gennaio erano stati deliberati 38 provvedimenti legislativi, di cui 14 decreti-legge, 17 decreti legislativi e 7 disegni di legge. Una produzione legislativa che rimanda nel suo complesso ad un totale di 135 decreti attuativi di cui 116 sono contenuti nella Legge di Bilancio 2023.
Proprio la manovra, da chiudere in tempi stretti, ha occupato la gran parte delle prime settimane di attività dell’esecutivo. Una manovra (approvata in via definitiva al Senato il 29 dicembre, non senza qualche confusione nella gestione del percorso) dettata dalla ristrettezza delle risorse ma che, ha più volte rivendicato Meloni, è stata “coraggiosa” e con “scelte politiche”. La finanziaria ha avuto un valore complessivo di 35 miliardi di euro, di cui 21 destinati al caro-bollette tra le altre cose rafforzando il credito d’imposta per le imprese e allargando la soglia Isee per le famiglie per accedere ai bonus sociali. Per le pensioni è stata inserita la norma transitoria, in attesa di una riforma, di ‘quota 103’. Il pacchetto fiscale ha visto l’inserimento di vari provvedimenti per quella che è stata definita una “tregua” (ma per le opposizioni sono stati condoni) tra cui l’azzeramento per i debiti erariali sotto i 1.000 euro per il periodo 2000-2015. Sul fronte lavoro, nella manovra è stato inserito un taglio di due punti del cuneo fiscale per chi ha un reddito fino a 35 mila euro (3 punti con redditi fino a 25 mila euro) mentre per gli autonomi, la flat tax al 15% è salita da 65 a 85mila euro di soglia di fatturato. Decisa anche l’abolizione del reddito di cittadinanza, che sarà erogato solo per il primi 7 mesi di quest’anno, in attesa di una riforma complessiva delle politiche attive del lavoro.
Prima della manovra, però, aveva fatto subito discutere il primo decreto dell’esecutivo, il cosiddetto dl Rave, varato in Consiglio dei ministri il primo novembre. Un provvedimento deciso sulla scia di un evento che si era tenuto a Modena e che ha inserito nel codice penale l’articolo 434-bis: “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, con pene fino a sei anni di reclusione e il possibile uso di intercettazioni. Un decreto accolto da una grande quantità di polemiche (con distinguo anche nella maggioranza, vedi Forza Italia) e dubbi di costituzionalità, tanto che l’esecutivo è stato costretto a correggere le norme, poi convertite in legge. Nello stesso dl sono entrati anche il reintegro dei sanitari no-vax e la stretta sull’ergastolo ostativo.
A chiudere l’anno, il 28 dicembre, è arrivato anche il cosiddetto decreto Ong (ancora in fase di conversione, con non poche fibrillazioni nella maggioranza) che pone dei limiti alle attività di salvataggio in mare da parte delle Organizzazioni non governative, a cui viene imposto di non effettuare più salvataggi prima di tornare in porto, con multe e pene che arrivano al sequestro delle imbarcazioni. Un provvedimento, secondo Meloni, che si limita al “rispetto del diritto internazionale”.
La vicenda con le Ong è stata al centro della prima tensione internazionale di Meloni, che l’ha contrapposta al presidente francese Emmanuel Macron con cui, a lungo, ci sono stati rapporti “freddi” prima della “pace” sancita da una telefonata tra i due lo scorso 17 gennaio. Il tema dei migranti è stato peraltro uno di quelli al centro dell’agenda europea di Meloni che ha chiesto e ottenuto di inserirlo nell’ordine del giorno del Consiglio straordinario del 9-10 febbraio.
L’avvio dell’attività ha coinciso anche con molti appuntamenti internazionali, utili alla premier per farsi conoscere dagli altri leader: dopo la prima trasferta a Bruxelles del 3 novembre per un incontro con le istituzioni comunitarie, ha partecipato alla Cop27 di Sharm el Sheik, al G20 di Bali, il vertice dei Balcani Occidentali a Tirana, l’incontro con il presidente Tebboune ad Algeri, la missione a Tripoli.
Il 2023 non è certo cominciato nel migliore dei modi, visto che il governo si è subito trovato a dover affrontare un problema molto sentito dall’opinione pubblica: l’aumento dal 1 gennaio del prezzo della benzina, conseguenza della decisione di non prorogare lo sconto sulle accise che era stato varato dall’esecutivo Draghi. Meloni ha inizialmente difeso quella scelta, spiegando con un video sui social di aver preferito usare i 10 miliardi che sarebbero stati necessari, per altre misure.
Una polemica sulla presunta speculazione dei distributori, insieme al pressing degli alleati (oltre che di larghe fette di elettorato care alla destra) hanno infine portato alla decisione – l’11 gennaio – di varare il cosiddetto decreto trasparenza, che impone ai benzinai di esporre cartelli con il prezzo medio accanto a quello da loro praticato. Una scelta che ha portato al primo sciopero dell’era Meloni – quello dei distributori appunto – poi ridotto da due a un giorno.
Il 18 gennaio, però, per la presidente del Consiglio è arrivata anche una buona notizia: l’arresto di Matteo Messina Denaro dopo 30 anni di latitanza. Nemmeno il tempo di celebrare “la vittoria dello Stato”, che la premier si è trovata ad affrontare un’altra grana: la polemica sulle intercettazioni. Stretta tra i pm che le difendono e gli alleati (Fi in testa) che ne chiedono una limitazione, la premier si è trovata a dover gestire anche l’approccio fortemente liberale del suo Guardasigilli, Carlo Nordio, con il quale si è reso necessario un chiarimento faccia a faccia, avvenuto il 26 gennaio.
Tra i provvedimenti che la premier ha messo in agenda per i prossimi mesi, un capitolo a parte lo meritano le riforme. Non solo quella della giustizia. La Lega insiste sul varo dell’Autonomia differenziata ed è riuscita a ottenere che, almeno l’esame preliminare, venga messo all’ordine del giorno del Cdm prima delle Regionali di febbraio in Lombardia e Lazio. Meloni vuole però che il provvedimento vada di pari passo con una sua storica battaglia: la riforma in senso presidenziale dello Stato, su cui la ministra Elisabetta Casellati ha avviato un giro di consultazioni con tutte le forze politiche, sia di maggioranza che opposizione.
Il governo, però, si trova a gestire anche una serie di dossier che coinvolgono direttamente l’Europa. In cima a tutti c’è il Pnrr: il 2022 si è chiuso con il raggiungimento di tutti gli obiettivi previsti, ma la sfida continua per i prossimi anni e porta con sé anche la trattativa per ottenere da Bruxelles alcune modifiche. E poi c’è il capitolo Mes: l’Italia è l’unico Paese a non aver ancora ratificato la riforma e l’Ue si aspetta che lo faccia a breve. Meloni ha sempre ribadito che il suo governo non accederà mai a quei fondi, ma deve trovare il modo per evitare di rimanere isolata. La Lega però resta fortemente contraria alla ratifica.
Fonte Agi
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