Il diritto a pensione è fondamentale, irrinunciabile e imprescrittibile e mal si concilia con l’alea dei mercati finanziari
È venuto il tempo di fare il punto della situazione sulla pensione dei professionisti italiani perché i dati macro stanno cambiando.
In evidenza
Il diritto a pensione. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 71/2010, ha ribadito che il diritto a pensione è fondamentale, irrinunciabile e imprescrittibile di rango costituzionale di cui all’art. 38 della nostra Carta Costituzionale.
Già la Cassazione, con l’autorità delle Sezioni Unite, con la sentenza n. 9219/2003, aveva affermato che il diritto alla pensione è un diritto primario e intangibile.
La giurisprudenza costituzionale in materia previdenziale, con riferimento ai principali profili della materia (natura dei contributi previdenziali, adeguatezza delle prestazioni ai sensi dell’articolo 38 Cost., limitazione di benefici precedentemente riconosciuti e conseguente discrezionalità del legislatore, tutela dell’affidamento dei singoli e sicurezza giuridica) riflette, sostanzialmente, l’evoluzione della legislazione pensionistica, segnata dall’inversione di tendenza operata a partire dalla seconda metà degli anni ’80 a fronte dell’esplosione della spesa e della necessità di garantire la sostenibilità di lungo periodo del sistema.
A partire dalla seconda metà degli anni ‘80, la Corte fornisce il proprio contributo per invertire le spinte espansionistiche insite nel sistema, valorizzando il principio del bilanciamento complessivo degli interessi costituzionali nel quadro delle compatibilità economiche e finanziarie. Già nelle sentenze n.180/1982 e n.220/1988 la Corte afferma il principio della discrezionalità del legislatore nella determinazione dell’ammontare delle prestazioni sociali tenendo conto della disponibilità delle risorse finanziarie. Le scelte del legislatore, volte a contenere la spesa (anche con misure peggiorative a carattere retroattivo), vengono tuttavia censurate dalla Corte laddove la normativa si presenti manifestamente irrazionale (sentenze n.73/1992, n.485/1992 e n.347/1997).
Quanto alla natura dei contributi previdenziali, la Corte, pur con una giurisprudenza non sempre lineare (frutto del compromesso tra la logica mutualistica e quella solidaristica che, allo stesso tempo, informano il nostro sistema previdenziale), ha affermato che “i contributi non vanno a vantaggio del singolo che li versa, ma di tutti i lavoratori e, peraltro, in proporzione del reddito che si consegue, sicché i lavoratori a redditi più alti concorrono anche alla copertura delle prestazioni a favore delle categorie con redditi più bassi”; allo stesso tempo, però, per quanto i contributi trascendano gli interessi dei singoli che li versano, “essi danno sempre vita al diritto del lavoratore di conseguire corrispondenti prestazioni previdenziali”, ciò da cui discende che il legislatore non può prescindere dal principio di proporzionalità tra contributi versati e prestazioni previdenziali (sentenza n.173/1986; si vedano anche, a tale proposito, le sentenze n.501/1988 e n.96/1991).
Per quanto concerne i trattamenti peggiorativi con effetto retroattivo, la Corte ha escluso, in linea di principio, che sia configurabile un diritto costituzionalmente garantito alla cristallizzazione normativa, riconoscendo quindi al legislatore la possibilità di intervenire con scelte discrezionali, purché ciò non avvenga in modo irrazionale e, in particolare, frustrando in modo eccessivo l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulla normativa precedente (sentenze n.349/1985, n.173/1986, n.82271998, n.211/1997, n.416/1999). (Camera dei deputati).
È passata un po’ inosservata la recentissima sentenza della Cassazione civile, Sezione lavoro, 15.09.2021, n. 24958, intervenuta sulle Casse di previdenza dei professionisti.
Con tale arresto la Suprema Corte ha ribadito “che la privatizzazione degli Enti previdenziali dei liberi professionisti fu disposta dalla legge 24.12.1993, n. 537 ed attuata con il d.lgs. 30.06.1994, n. 509 e il d.lgs. 10.02.1996, n. 103; in particolare il d.lgs. 509 del 1994, art. 1, ha assoggettato a trasformazione in associazioni o in fondazioni di diritto privato molteplici enti pubblici gestori, regolando tale processo di privatizzazione con la previsione di apposita deliberazione di competenti organi di ciascun ente, imponendo l’assenza di finanziamenti pubblici o altri sostegni pubblici di carattere finanziario; la Corte Costituzionale con le sentenze 18.07.1997, n. 248 e 05.02.1999, n. 15, ha precisato che tale processo di trasformazione non ha dato luogo ad una privatizzazione sostanziale, essendo rimasto immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale svolta dagli enti privatizzati, articolandosi sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi”.
Come la Corte di legittimità ha più volte affermato (da ultimo Cass. n. 4608 del 2019 e le pronunce ivi richiamate), il principio di autonomia riconosciuto alle Casse professionali dal d.lgs. n. 594 del 1994 e dal d.lgs. n. 103 del 1996, realizza, nel rispetto della natura pluralista dell’intero sistema previdenziale, lo scopo di rispettare le istanze del gruppo professionale nella gestione dell’assicurazione obbligatoria, all’interno dello spazio assegnato loro dalla legge (legge n. 335 del 1995, art. 3, comma 12), senza il concorso finanziario da parte dello Stato. L’attribuzione di autonomia gestionale, organizzativa e contabile a tali associazioni o fondazioni, con i limiti dovuti alla natura pubblica dell’attività svolta (art. 2, comma 1) garantisce ai nuovi soggetti autonomia statutaria e regolamentare (art. 1, comma 4) ed il finanziamento attraverso i versamenti contributivi dei propri iscritti, con divieto di contribuzioni pubbliche (art. 1, commi 1 e 3), pur permanendo, nei loro confronti, il controllo pubblico (art. 3).
Alle stesse identiche conclusioni è pervenuta anche la Corte dei Conti, come ho già evidenziato nel mio precedente articolo La Corte dei Conti e la responsabilità amministrativa del 06.08.2021, al quale non posso che fare riferimento.
Conseguentemente, se come abbiamo visto, la pensione è un diritto fondamentale, irrinunciabile e imprescrittibile, mi pare ovvio che non può essere affidata all’alea dei mercati finanziari.
I dati macro. È a tutti evidente che la contrazione dei redditi dei professionisti, la contrazione del loro numero, come lavoratori attivi rispetto all’aumento dei pensionati, in breve tempo eliminerà per tutte le Casse i saldi attivi che oggi vanno ad aumentare il patrimonio di riserva con la conseguenza che le pensioni dipenderanno sempre più, anziché dalla contribuzione, dal rendimento del patrimonio investito sui mercati finanziari.
Riprova ne sia che per due Casse, Cassa Geometri e Inpgi, – gestione Ago, già da alcuni anni le prestazioni superano i contributi; tra le casse con saldo negativo, nel 2020 si sono aggiunte Enpacl e in misura molto più marginale Cassa Notariato ed Enpaia (cfr. Tav. 3, Quadro di sintesi 2020, Covip).
Ne consegue che le pensioni future sempre più dipenderanno dall’alea dei mercati finanziari il che mal si concilia con il diritto a pensione, fondamentale, irrinunciabile e prescrittibile.
È bene che i Ministeri Vigilanti, il Governo e il Parlamento si occupino del problema finché si è ancora in tempo ad intervenire.
Ricordo a tutti che i compiti della Direzione Generale del Ministero del Lavoro e della Previdenza in materia sono i seguenti:
- a) vigila, indirizza e coordina l’attività degli enti pubblici previdenziali e assicurativi pubblici e privati, nel rispetto di quanto previsto all’articolo 3, comma 5;
- b) vigila sotto il profilo giuridico-amministrativo ed economico-finanziario sugli enti previdenziali e assicurativi pubblici;
- c) verifica i piani di impiego delle disponibilità finanziarie degli enti di previdenza obbligatoria, ai fini del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica;
- d) cura l’inquadramento previdenziale, delle imprese con attività plurime, nei settori economici di riferimento in I.N.P.S.;
- e) cura i profili applicativi delle agevolazioni contributive, delle cosiddette prestazioni temporanee e delle connesse contribuzioni;
- f) gestisce i trasferimenti delle risorse finanziarie agli enti previdenziali e assicurativi pubblici;
- g) vigila sull’attuazione delle disposizioni relative ai regimi previdenziali pubblici e privati provvedendo ad analizzarne l’impatto sul complessivo sistema di sicurezza sociale;
- h) cura le procedure di nomina degli organi degli enti previdenziali e assicurativi pubblici, degli enti di previdenza obbligatoria di diritto privato, di COVIP e di Fondinps e adotta, nel rispetto della normativa vigente, i provvedimenti amministrativi surrogatori;
- i) coordina, analizza e verifica l’applicazione della normativa previdenziale inerente l’assicurazione generale obbligatoria, le forme assicurative e le diverse gestioni pensionistiche costituite presso l’I.N.P.S.;
- l) esercita l’alta vigilanza e l’indirizzo sulle forme pensionistiche complementari, in collaborazione con la Covip, nonché, per gli ambiti di competenza del Ministero, provvede, allo scioglimento degli organi di amministrazione e di controllo;
- m) svolge sugli enti privati di previdenza obbligatoria di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509 e 10 febbraio 1996, n. 103:
1) la vigilanza, l’indirizzo e il coordinamento per l’applicazione della normativa previdenziale e assistenziale;
2) la vigilanza giuridico-amministrativa ed economico-finanziaria, d’intesa con la COVIP;
3) l’esame e la verifica dei relativi piani di impiego delle disponibilità finanziarie e l’approvazione delle relative delibere;
4) l’esame degli statuti e dei regolamenti: previdenziali, assistenziali, elettorali, di amministrazione e di contabilità nonché l’approvazione delle relative delibere;
5) l’analisi dei bilanci tecnici per la verifica della sostenibilità delle gestioni e dell’adeguatezza delle prestazioni previdenziali;
6) il controllo sull’attività di investimento delle risorse finanziarie e sulla composizione del patrimonio, in collaborazione con la COVIP;
- n) vigila sull’attuazione delle disposizioni in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nonché di assicurazione contro gli infortuni domestici;
- o) vigila sull’ordinamento e sulla gestione finanziario-contabile degli istituti di patronato e di assistenza sociale;
- p) vigila sull’applicazione della normativa nazionale di sicurezza sociale per i lavoratori italiani all’estero e i lavoratori stranieri in Italia;
- q) cura, nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 3, comma 2, lettera m), le relazioni con organismi internazionali per le materie di propria competenza.”
La pensione non è una variabile indipendente. Le pensioni non sono una “variabile indipendente” dalle condizioni economiche generali, e in particolare dalla crescita. Non è la politica a garantire le nostre pensioni, ma il buon funzionamento del sistema economico e dell’occupazione. La crescita fornisce, attraverso l’aumento dei redditi da lavoro, la fonte per corrispondere buone pensioni ai pensionati di oggi e a quelli di domani (oltre alla base tassabile per la parte assistenziale del sistema). La crescita – soprattutto quella attesa – è però anche la premessa per una maggiore redditività dei mercati finanziari.
La seconda, banale ma spesso trascurata, osservazione è che nessuna fonte di finanziamento delle pensioni è esente da rischi, sia essa legata all’economia reale del paese o a un portafoglio finanziario. Favorire un po’ di diversificazione è pertanto utile, così come il ricorso alla fiscalità generale in situazioni di emergenza. Ma proprio perché dal sistema a ripartizione non si può uscire, è bene garantirne la sostenibilità nel tempo, senza avventurarsi in pericolose controriforme di corto respiro, attingendo al debito pubblico. (Effetto coronavirus sulle pensioni di Raffaele Corvino e Elsa Fornero in lavoce.info).
Tenendo ovviamente in considerazione l’insegnamento di Ignazio Visco in Covid, shock, debito pensionistico e debito pubblico, novembre 2020 per il quale:
Bisogna a questo punto osservare che non è corretto “sommare” debito pubblico (esplicito) e debito pensionistico (implicito).
Il secondo si differenzia dal primo per varie ragioni:
(a) l’entità e la tempistica del suo “rimborso” – contrariamente a quelle di un titolo pubblico – non sono certe ex ante, ma dipendono dalle scelte di pensionamento dei singoli cittadini e dalla loro longevità;
(b) il debito pensionistico pubblico non deriva da un contratto esigibile di fronte a una corte ordinaria: lo Stato può cambiare entro certi limiti la tempistica e l’entità del “rimborso”, incorrendo certamente in costi “sociali e politici”, ma non in costi “giuridici”;
(c) il “cittadino‒creditore” non può alienare il suo “credito pensionistico” su un mercato secondario, derivandone, tra l’altro, che il debito pensionistico non comporta rischi di breve periodo connessi con il suo “rifinanziamento” .
Si dovrà altresì valutare che il sistema di previdenza di base, obbligatorio, è profondamente cambiato negli ultimi decenni: si è innalzata l’età pensionabile e si è esteso su tutta la vita lavorativa il periodo di contribuzione valido per il calcolo della pensione; la rivalutazione automatica delle pensioni in pagamento è agganciata alla dinamica dei prezzi. Dal sistema retributivo, nel quale la pensione dipende dall’anzianità contributiva e dalle retribuzioni, in particolare quelle percepite nell’ultimo periodo della vita lavorativa, tendenzialmente più favorevoli, si è infatti passati al sistema contributivo con qualche eccezione, come Cassa Forense, nel quale l’importo della pensione è determinato essenzialmente dall’ammontare dei contributi versati nell’arco dell’intera vita lavorativa. Rispetto al passato, quindi, la pensione obbligatoria risulta meno generosa, soprattutto se i contributi versati sono di importo basso o si lavora in modo non continuativo. Tali modifiche fanno sì che in futuro le nuove pensioni, in rapporto all’ultima retribuzione percepita (tasso di sostituzione), saranno più basse rispetto a quelle degli attuali pensionati.
Ne consegue, a mio giudizio, che il rischio connesso all’alea dei mercati finanziari mal si concilia con il diritto alla pensione.
Infatti, come insegna la Consob, prima di effettuare un investimento in strumenti finanziari l’investitore deve informarsi presso il proprio intermediario sulla natura e i rischi delle operazioni che si accinge a compiere.
L’investitore deve concludere un’operazione solo se ha ben compreso la sua natura ed il grado di esposizione al rischio che essa comporta.
E i rischi sono:
- Rischio di mercato: ovvero la possibilità di ottenere delle perdite sul portafoglio di investimento. In parole più semplici è la possibilità che l’investimento abbia un valore inferiore a quello iniziale in una data futura in seguito alla “normale oscillazione del mercato” nel quale si sta investendo (variazioni dei prezzi, dei tassi di cambio, dei tassi di interesse ecc.). Per le sue caratteristiche, è una tipologia di rischio non eliminabile.
- Rischio di credito: possibilità che nell’ambito di un prestito il debitore non assolva nei termini prestabiliti, anche solo in parte, ai suoi obblighi di rimborso del capitale o al pagamento degli interessi al suo creditore. Questo rischio è legato agli investimenti in obbligazioni, in particolare se emesse da società, ma a volte può succedere anche con obbligazioni emesse da alcuni Stati.
- Rischio operativo o rischio di controparte: è legato alle istituzioni finanziarie che detengono gli investimenti dei clienti e quindi la banca depositaria.
- Rischio sistemico: rischio di instabilità finanziaria così diffuso da compromettere il funzionamento del sistema finanziario nel suo complesso. Ad esempio, il fallimento di una grande banca nazionale potrebbe portare al fallimento di altre banche ad essa collegate (effetto a catena), con comprensibili ripercussioni sull’economia reale.
In ogni caso, come rileva sempre la COVIP:
Regolamentazione degli investimenti
Rilevando positivamente la ripresa del percorso di approvazione del regolamento interministeriale in materia di investimento delle risorse finanziarie, di conflitti di interessi e di depositario, si deve ribadire la necessità di una sua rapida conclusione ( lo aspettiamo da ben 10 anni ) , a fronte di:
– una frammentazione documentale, con la coesistenza di diversi elaborati in materia di investimenti, talvolta senza il necessario coordinamento, con conseguente scarsa chiarezza, incongruenza e duplicazioni di contenuti;
– un’eterogeneità degli assetti organizzativi, riconducibile in parte all’accentuata diversità rispetto a dimensioni e politiche di investimento adottate, pur in presenza di alcuni tratti comuni;
– un’implementazione parziale o incompleta della disciplina interna in materia di investimenti;
Rafforzamento strutturale e ruolo delle casse
Il completamento del quadro regolamentare favorirebbe il rafforzamento strutturale delle casse rendendone più efficace l’azione in un ambito, quello delle scelte di investimento, fortemente sollecitato dalla complessità dei mercati finanziari; dal rafforzamento strutturale dipende anche il ruolo che le casse professionali possono svolgere non solo per lo sviluppo dei mercati finanziari e la crescita dell’economia, ovviamente avendo sempre riguardo all’interesse degli iscritti in una prospettiva di carattere previdenziale, ma anche in una prospettiva assistenziale di iscritti e pensionati; per esercitare pienamente questo ruolo occorrono soggetti in grado di adottare decisioni rese sempre più complesse dall’evoluzione continua degli strumenti di investimento e dello stesso universo investibili. (Covip, Quadro di sintesi, anno 2020).
Tratto da Diritto e Giustizia
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