Il pasticciaccio del Consigliere della Corte dei conti che critica l’opposizione debole nei confronti del Governo
Evidente l’imbarazzo della Corte.
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Non conosco Marcello Degni, nominato Consigliere della Corte dei conti su proposta del Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni nell’ambito di quella limitata aliquota di soggetti che entrano a far parte della Magistratura contabile non per concorso (quattro prove scritte ed un corposo orale) ma a seguito di decisione del Governo. Un tempo erano prevalentemente alti dirigenti dello Stato, ambasciatori, direttori generali, vertici delle Forze Armate. Poi la politica ha pensato bene di assegnare quei posti a collaboratori di personalità governative e parlamentari, ad ex senatori ed ex deputati o ad ex sindaci o ad ex assessori.
Questi, divenuti magistrati contabili con la qualifica di Consigliere hanno giurato di esercitare le loro funzioni nel rispetto della Costituzione e delle leggi. A loro, come ai magistrati vincitori di pubblico concorso, all’atto del loro ingresso nel Palazzo di Viale Mazzini a Roma, sede centrale della Corte dei conti, è stato ricordato il dovere non solo di essere indipendenti ed anche di apparire tali perché nessuno possa dubitare che siano soggetti “soltanto alla legge”, come sta scritto nell’art. 101 della Costituzione, con norma che riguarda i magistrati di tutti gli ordini. E l’apparire indipendenti è stato costantemente inteso come espressione di un atteggiamento che non faccia neppure dubitare della loro vicinanza ad una parte politica, fosse di governo o di opposizione.
Una regola elementare che non ci sarebbe bisogno di ricordare a chi indossa la toga del giudice. Una regola che è interesse di tutti sia rispettata perché il magistrato che non dovesse apparire indipendente finirebbe inevitabilmente per gettare discredito sull’intero corpo dei giudici, sulla loro autorevolezza, sulla fiducia che i cittadini devono poter avere nei loro giudici delle cui idee politiche non dovrebbero mai preoccuparsi.
Accade, invece, che, per un malinteso spirito di casta, gli organi di autogoverno, il Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.) o il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa o della Corte dei conti abbiano a volte dimostrato eccessiva indulgenza nei confronti di quanti sono stati accusati di condotte tali da indurre l’opinione pubblica a ritenere che quella toga in realtà esprima una “appartenenza”, magari solo ideale ad una parte politica in modo tale da far pensare che non sia indipendente e possa essere qualificata “rossa” o “nera”.
Una lunga premessa per dire del post del Consigliere Marcello Degni venuto agli onori della cronaca politica con evidente danno per la Magistratura contabile, in particolare in un momento nel quale le attribuzioni giurisdizionali e di controllo della Corte sono oggetto di revisione critica con il concorso di tutte le forze politiche, considerato che la norma che ha limitato alle sole condotte dolose l’azione di responsabilità per “danno erariale” nasce con il Governo Conte1, viene confermata dal Conte 2, da Mario Draghi e da Giorgia Meloni.
Nessuna delle forze politiche ha difeso il ruolo storico della Corte, neppure Mario Draghi che pure in occasione della presentazione del suo governo alle Camere e in un intervento nell’aula delle Sezioni Riunite della Corte dei conti aveva ricordato il Conte di Cavour e la sua riforma della magistratura contabile.
In questo clima arriva ad alimentare il dibattito politico il post del Consigliere Degni il quale testualmente il 30 dicembre, subito dopo l’approvazione della legge di bilancio mio scrive: “Occasione persa. C’erano le condizioni per l’ostruzionismo e l’esercizio provvisorio. Potevamo farli sbavare di rabbia sulla cosiddetta manovra blindata e gli abbiamo invece fatto recitare Marinetti”. Immediati numerosi interventi di condanna da parte dei partiti della maggioranza ai quali Degni replica con argomentazioni che non convincono: “La mia imparzialità – afferma – non viene messa in discussione dal mio post, che oltretutto era una critica all’opposizione per dire ‘in una situazione come questa in cui avete criticato la manovra, dovevate utilizzare tutti gli strumenti parlamentari per manifestare questa contrarietà, non tanto per i contenuti, ma per il metodo’”. Ed ha proseguito affermando all’Ansa che: “Quanto ho espresso non riguarda le cose che faccio da magistrato ma mie valutazioni da economista, che si occupa da anni di contabilità pubblica; non capisco perché vogliano correlarle alla Corte dei Conti. L’accusa di attacco alla patria per l’evocazione dell’esercizio provvisorio è ridicola. Intanto l’esercizio provvisorio è previsto dalla Costituzione; ma il punto del mio post non è l’esercizio provvisorio, perché l’ostruzionismo poteva far arrivare al 31 dicembre, ed era importante per il significato politico. Francamente le accuse di essere anti-italiano sono ridicole. Dopo aver scritto il post – ha quindi raccontato Degni – ho letto i primi commenti e ho pensato che se avessi evitato mi sarei risparmiato una seccatura, ma la reazione sopra le righe mi induce a pensare che forse ho fatto bene. Forse ho messo il dito in un punto da attenzionare. E poi mi assumo le responsabilità, la Corte non c’entra. Come tutti i magistrati, al di là dell’operato nell’esercizio dell’attività, ho diritto alla libera espressione delle opinioni, garantita a tutti dalla Costituzione. Con garbo le mie idee le posso esprimere, e in quel tweet non ho offeso nessuno”.
È una difesa evidentemente maldestra, soprattutto quando afferma di aver argomentato in modo critico nei confronti dei partiti di opposizione. Il suo tweet è chiaro. Lo comprenderebbe chiunque avesse meno cultura economica e contabile di quella che lui vanta. “Potevamo farli sbavare di rabbia sulla cosiddetta manovra blindata”. La prima persona plurale “potevamo” la dice lunga sulla parte alla quale dà sponda apertamente. Né il fatto di aver svolto attività politica quale assessore gli ha consigliato un minimo di prudenza, quella che tutti gli uomini (e le donne) delle istituzioni usano nell’esternare opinioni, considerato che inevitabilmente esse vengono interpretate in relazione alla loro storia personale.
E non c’è dubbio che un forte imbarazzo si percepisca a Viale Mazzini soprattutto in un momento delicatissimo nel quale si discute di possibili riforme delle attribuzioni della Corte con taglio limitativo, come si legge nella proposta di legge del Presidente del Gruppo parlamentare della Camera di Fratelli d’Italia Tommaso Foti, primo firmatario di un testo che qualcuno sospetta nato all’interno della Corte, d’intesa con alcuni magistrati prestati alla politica governativa. Un pasticciaccio brutto, dunque, che non c’è motivo di ritenere sia una trappola precostituita contro la Corte ma che molto gli somiglia.
Evidente l’imbarazzo della Corte. Tanto che l’Ufficio stampa ha fatto sapere che “la questione verrà esaminata in via di urgenza nella prossima adunanza del Consiglio di presidenza per le valutazioni di competenza”.
Di Salvatore Sfrecola (già Presidente di Sezione della Corte dei conti Presidente dell’Associazione Italiana Giuristi di Amministrazione)
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