Il Re Mendicante
L'esperienza del Covid 19 è stata una prova generale.
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Hanno fermato il mondo per tre mesi circa, uomini e attività, nel mentre si consumava la tragedia dei decessi annunciati. Lungi dal ricorrere ai ragionamenti imposti dalle cosiddette teorie complottiste, che seppur intriganti e veritiere e spesso supportate da analisi concrete, la pandemia, provocata o caduta dal cielo, come ennesima punizione della sorte, ha decisamente prodotto l’effetto unico del controllo delle masse globalizzate. Fermare il mondo per tre mesi circa è stata sfida ardua, perigliosa e, purtroppo, vittoriosa. Uno stop umano ed economico all’ingranaggio produttivo ma non ai poteri delle rappresentanze politico istituzionali internazionali. I cittadini tutti, i cittadini del mondo intendo, hanno subito, tra lo sgomento e la paura del contagio, l’amministrazione della “crisi”, che ha dato esiti ed effetti diversi nelle reazioni alla gestione della stessa ed alla successiva ripresa.
Uno stop, una pausa, che è stata anche momento di riflessione interiore per le anime sensibili, uno stop di ricarica per le “anime dannate” a cui è preclusa ogni forma di redenzione. Di fatto la ripresa dei contatti e delle attività, seppur a singhiozzo, è di incoraggiamento per tutte le categorie produttive che sperano in una seria prospettiva di rilancio economico. Ma le professioni, l’avvocatura e la giustizia sono allo sbando.
Per le professioni si è posta da subito la questione reddituale e la centralità del ruolo svolto dalle casse. La rappresentanza, lungi dall’interpretare l’esigenza e l’urgenza di proporre misure concrete ed immediate, continua a languire nell’insignificanza, nell’impotenza di porsi, rispetto alle rappresentanze politiche, come valido interlocutore. La crisi pandemica e lo stop della giustizia che, forse, riprenderà in maniera concreta dal gennaio 2021, ha definitivamente messo in esilio le istituzioni forensi nella loro dimensione provinciale, limitata al territorio amministrato. Ripercorrere le tappe nell’insignificanza istituzionale dell’avvocatura è narrazione ormai quasi priva di una reale valenza conoscitiva perché tutti sanno, tutti accettano lo stato delle cose e si aggrappano ai falsi valori del decoro e della funzione costituzionale del professionista, propinati allo scopo di giustificare una permanenza in vita che ormai assomiglia ad una lenta agonia condita da un delirio di insignificante onnipotenza, senza alcun riscontro fattuale. Le rappresentanze forensi, non hanno la capacità di operare una sintesi delle misure urgenti da adottare e nessun rappresentante istituzionale si è fatto carico di portare all’attenzione dei poteri contigui le misure necessarie.
Fondamentale è la mancanza di una visione di insieme che sia di ispirazione e “griglia” per le vere istanze riformiste. Le misure tampone, semmai adottate nella concretezza, non sono idonee ad impedire l’estinzione di una categoria priva della sua vera funzione anche se già “costituzionalmente prevista”.
Dalla legge professionale ad oggi, nessun intervento legislativo in grado di traghettare la professione verso orizzonti che ne garantiscano la sopravvivenza. Nel frattempo, nell’agitatarsi delle grida di dolore di una categoria affamata, le lobby economicamente forti festeggiano e consolidano i loro feudi.
Che in Italia si stia assistendo alla perdita di centralità della funzione legislativa, acuendo lo sviluppo e i momenti di crisi sperimentati dalle giurisdizioni, unitamente all’irruzione dei poteri regolatori delle autorità indipendenti è un dato ormai acclarato.
Il senso di dispersione e frammentazione dei poteri pubblici, l’affermazione del “metodo mafioso” in tutti i poteri, l’insignificanza dell’avvocatura agli occhi della politica nazionale e la sua incapacità di porsi come valido interlocutore a tutela della categoria, sono elementi che accentuano la crisi di consenso che circonda non solo le istituzioni repubblicane ma anche quelle “di categoria”. La selezione naturale, se così possiamo definirla, in atto per l’avvocatura in particolare, è scelta ben precisa e si inserisce in un disegno articolato che si avvia al completamento. L’immagine di una categoria che mendica sussidi per sopravvivere, credendo di essere ancora un Re decoroso che si atteggia fuori e dentro le aule di giustizia è metafora adeguata alla concretezza della quotidianità. Il processo sarà irreversibile e nel mentre si rimescolano e si formano le nuove generazioni delle future rappresentanze forensi, si spera verso obiettivi meno egotici ed individualisti e diretti a risollevare l’avvocatura proletarizzata, si continua ogni giorno ad assistere al fallimento delle nostre rappresentanze, ostaggio anche nella ripartenza della giustizia, dei capi degli uffici giudiziari, dell’avvocatura arrabbiata e… di se stessi…decorosamente e con rispetto. Perché il male più grande è non ammettere il proprio fallimento.
Siamo mendicanti che credono di essere Re …siamo Nessuno.
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