In cauda venenum
Il 9 novembre 2020 la Corte Costituzionale ha depositato la sentenza n. 234/2020 il cui dispositivo era già noto, attraverso il comunicato ufficiale della stessa Corte Costituzionale.
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Con tale pronuncia (Corte Costituzionale, sentenza n. 234/20; depositata il 9 novembre)
la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge 30.12.2018, n. 145 nella parte in cui stabilisce la riduzione dei trattamenti pensionistici ivi indicati per la durata di 5 anni anziché per la durata di 3 anni dichiarando poi inammissibili e non fondate tutte le altre questioni sollevate in ordine al raffreddamento della perequazione sulle pensioni più alte (v. la news La Consulta sulle pensioni elevate: ok al raffreddamento ma non al contributo di solidarietà per più di 3 anni).
(v. la news La Consulta sulle pensioni elevate: ok al raffreddamento ma non al contributo di solidarietà per più di 3 anni).
Nella sentenza io rinvengo due passaggi di particolare interesse per il previdenzialista:
– il progressivo invecchiamento della popolazione e l’erosione della base produttiva rende via via più fragile il patto tra le generazioni, sul quale il sistema previdenziale si fonda;
– il contributo di solidarietà, proprio in ragione della prevista acquisizione al bilancio dello Stato, è stato qualificato in termini tributari (sentenza n. 241 del 2012) e la norma che l’ha disposto è stata dichiarata illegittima per violazione degli artt. 3 e 53 Costituzione (sentenza n. 116 del 2013).
La Corte Costituzionale ribadisce la natura endoprevidenziale del prelievo, ed esclusane conseguentemente la sostanza tributaria, l’evocazione dei parametri di cui agli artt. 3 e 53 Cost. risulta priva di fondamento.
D’altronde, con riferimento ai rapporti di durata, e alle modificazioni peggiorative che su di essi incidono secondo il meccanismo della cd. retroattività impropria, la Corte Costituzionale ha più volte affermato che il legislatore dispone di ampia discrezionalità e può anche modificare in senso sfavorevole la disciplina di quei rapporti, ancorché l’oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non trasmodi in un regolamento irrazionale lesivo del legittimo affidamento dei cittadini.
In termini generali, la verifica di ragionevolezza e proporzionalità di un contributo imposto ai titolari delle pensioni più elevate non può essere avulso dalla considerazione dei gravi problemi strutturali che affliggono il sistema previdenziale italiano, la cui sostenibilità è tutt’ora affidata in un’ottica di solidarietà ad una gestione a ripartizione, particolarmente esposta alla negatività dell’andamento demografico: un numero sempre minore di lavoratori attivi, per di più spesso con percorsi lavorativi discontinui, è chiamato a sostenere tramite i versamenti contributivi il peso di un numero sempre maggiore di pensioni in erogazione.
In definitiva quando, come nel caso di specie, il contributo di solidarietà, prelevato sulle pensioni più alte, viene devoluto a un circuito di solidarietà interna al sistema previdenziale, il prelievo sul trattamento pensionistico resta infatti inquadrato nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., e si sottrae quindi al principio di universalità dell’imposizione tributaria, di cui all’art. 53 Cost., potendo trovare un’autonoma giustificazione nei principi solidaristici sanciti dall’art. 2 Cost. (ordinanza n. 22/03).
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