Anno: XXVI - Numero 36    
Giovedì 20 Febbraio 2025 ore 15:00
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Kiev, la Sagunto del 2025

Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. Torna in mente in queste ore la frase di Tito Livio (Storie, XXI, 7, 1) che identifica un episodio della storia, lontano nel tempo, eppure capace di farci comprendere quello che sta accadendo in Ucraina.

Kiev, la Sagunto del 2025

Allora, mentre in Senato si discuteva sul da farsi, su come aiutare la città spagnola fedele a Roma aggredita da Annibale, Sagunto veniva espugnata. Una brutta figura per l’Urbe che si era data un ruolo di potenza capace di tutelare le comunità che si affidavano ad essa. A dimostrazione che la prudenza è una virtù che va definita in tempi brevi, quando il passare dei giorni e delle ore modifica la realtà sulla quale si sta riflettendo.

È quello che, come ho già segnalato, sta accadendo in Ucraina dove la comunità occidentale ha dimostrato immediatamente di percepire l’ingiustizia dell’aggressione russa mettendo a disposizione dell’esercito ucraino mezzi di difesa importanti. Tuttavia, evidentemente non idonei a contenere, come sarebbe stato necessario, l’aggressione portata dalle truppe di Putin che bisognava fermare al confine, a dimostrazione della capacità militare dell’Occidente e della determinazione degli stati europei ad impedire una violazione dei confini che potrebbe indurre ad ulteriori aggressioni o prepotenze. E qui, oggi che si delinea una ipotesi di accordo per iniziativa del nuovo Presidente degli Stati Uniti, non è chiaro a quali condizioni verrà effettuata la proposta che già nasce dagli incerti esiti in ragione del fatto che sembra non si tenga conto della volontà del popolo ucraino, impersonata dal suo vertice istituzionale, e degli interessi dell’Europa ai cui confini si è manifestata l’aggressione russa.

Il rischio di una soluzione che dia soddisfazione solo a una parte, cioè alla Russia, è grande perché potrebbe essere una scelta degli Stati Uniti a tutela dei loro interessi a una riduzione delle tensioni in questo scacchiere, anche in vista di una revisione dei rapporti commerciali con l’Europa che dalla guerra russo Ucraina sta subendo dei pesanti contraccolpi in ragione delle sanzioni che ha adottato nei confronti della Russia e che in qualche modo si riverberano sugli approvvigionamenti e in generale sul commercio del Continente.

Non è da sottovalutare che l’interesse degli Stati Uniti potrebbe non coincidere con gli interessi dei paesi europei, anche perché gli Stati Uniti hanno dimostrato in più occasioni di gestire con disinvoltura le relazioni internazionali, com’è accaduto in Medio Oriente, da ultimo con la fuga ignominiosa dall’Afghanistan che ha dato la misura della inaffidabilità di questa grande potenza che giunge con le armi per assicurare la democrazia, favorisce lo sviluppo delle relazioni politiche all’interno degli stati ma poi si defila dando di fatto spazio alla fazione che aveva affermato di voler combattere.

Dobbiamo pensare che nel mondo di oggi gli Stati Uniti d’America, grande potenza economica e militare, svolgono un po’ quel ruolo imperiale che aveva Roma già al tempo delle guerre puniche e che avrebbe sviluppato successivamente. Con la differenza che Roma garantiva la sicurezza e le relazioni commerciali tra le varie comunità dell’impero e proteggeva le aree di confine da interventi ostili.

Questo non è nella cultura degli Stati Uniti, soprattutto nella versione American first espressione di una mentalità per certi versi isolazionista la quale evita di assumersi responsabilità in realtà non direttamente incidenti sugli interessi americani. Notiamo da sempre che il pendolo della politica estera americana oscilla tra un approccio imperiale, finalizzato alla difesa di paesi ideologicamente e culturalmente vicini com’è stato nella prima e nella seconda guerra mondiale e nella promozione della NATO, come espressione di un’alleanza difensiva, e momenti in cui, come nel citato Afghanistan, gli USA si ritraggono confusamente, con perdita di credibilità. Infatti, nessuno in Medio Oriente si potrà fidare delle promesse di aiuto dal punto di vista economico e militare degli Stati Uniti.

Come osservavo nella precedente riflessione, l’Europa è assente, non solo perché rischia di non essere coinvolta nell’accordo fra la Russia e gli Stati Uniti sull’Ucraina, ma perché obiettivamente si sta dimostrando incapace di essere un interlocutore credibile come invece potrebbe esserlo in ragione della sua potenza economica alla quale non corrisponde una capacità di iniziativa politica sul piano internazionale e militare.

Il titolo del fondo di Lucio Caracciolo su La Repubblica di oggi, “C’era una volta l’Occidente” è drammaticamente identificativo di questa realtà che viene declinata in ragione della marginalità che l’Europa evidentemente ha ricercato perché con un po’ di buon di sano realismo non sarebbe stato difficile, pur nella varietà degli interessi dei singoli paesi partecipi dell’Unione europea, esprimere una voce unica nel dialogo delle grandi potenze e confezionare un apparato militare capace di rafforzare il ruolo dell’Europa sul piano internazionale, considerato che ormai da tempo contingenti militari vengono impiegati per assicurare pace e in aree di interesse.

Riprendo per concludere le parole di Lucio Caracciolo: “si ripete per l’ennesima volta uno scenario già visto, previsto e incredibilmente rimosso, con gli americani indifferenti alla sorte di Kiev perché impegnati in superiori partite e gli europei che non possono o non vogliono far seguire i fatti alle parole”.

È una condanna senza appello nei confronti di chi ha amministrato finora l’Europa, di chi a livello politico non è riuscito e non riesce a percepire l’interesse comune degli Stati del Continente, protesi inutilmente in lotte intestine, incapaci di comprendere che nella realtà del mondo globalizzato nel quale i grossi interlocutori sono la Cina, l’India, il Brasile, gli Stati Uniti d’America, protagonisti della vita politica ed economica internazionale, i singoli stati non possono fare altro che inchinarsi. Che brutto quel “C’era una volta l’Occidente”! Quanta tristezza in quelle parole.

 

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