La flessibilità vista da un giurista e non da un economista
Ho la netta impressione che il Governo giallo rosso guardi più alla redistribuzione del reddito che alla creazione del reddito.
In evidenza
Il problema sta nella politica economica e nel suo coordinamento con la UE. Ma andiamo per gradi.
Il problema non è la ricerca di maggiore o minore flessibilità ma le scelte di politica economica e i rapporti con la UE. La politica economica e monetaria della UE è uno strumento fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi generali dell’Unione Europea.
Politica economica
Nei confronti degli Stati membri, essa è caratterizzata da:
– un sistema di coordinamento degli obiettivi comuni;
– un sistema di vigilanza (che prevede anche sanzioni);
– un sistema di assistenza;
– alcuni divieti (fra cui il divieto di un disavanzo pubblico eccessivo, divieto di intese tra le imprese recanti pregiudizio alla concorrenza).
Oggetto della politica economica
L’impostazione della politica economica della UE è data dall’art. 1109 del TFUE che, dopo aver richiamato l’art. 13 del Trattato della UE, prevede una politica economica fondata su di uno stretto coordinamento delle politiche economiche dei vari Stati e sulla definizione di obiettivi comuni. Tale azione prevede anche una moneta unica ed una politica monetaria e di cambio con lo scopo di mantenere i prezzi stabili, all’interno di un’economia di mercato aperto e in libera concorrenza.
Esiste tuttavia una sorta di asimmetria fra la politica di bilancio nazionale e la politica monetaria europea. Infatti, la politica economica è di fatto governata dagli Stati membri che sono tenuti a coordinare le proprie scelte in base agli indirizzi di massima dettati dal Consiglio (dei Ministri) mentre in fatto di politica monetaria, la competenza esclusiva è riconosciuta alla UE.
Strumenti per attuare la politica economica
Il coordinamento delle politiche economiche dei singoli Stati avviene tramite due strumenti:
- a) Raccomandazioni
La Commissione Europea predispone delle raccomandazioni che contengono degli indirizzi di massima; una volta approvati dal Consiglio, essi sono resi noti agli Stati membri i quali sono tenute a rispettarli e per questo essi sono soggetti ad una sorveglianza multilaterale.
Da parte loro, gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le informazioni di rilievo adottate nell’ambito della loro politica economica.
- b) Vigilanza
La UE controlla i bilanci degli Stati membri, per evitare disavanzi pubblici eccessivi (disavanzo = differenza negativa fra entrate ed uscite del settore pubblico in un determinato esercizio finanziario). Il disavanzo pubblico è considerato eccessivo se:
– il rapporto fra disavanzo pubblico ed il prodotto interno lordo (PIL = il valore dei prodotti e dei servizi realizzati all’interno di uno stato in un determinato arco di tempo) supera i 3%;
– il rapporto fra il debito pubblico e il PIL è superiore al 60%;
– se lo Stato membro attua politiche economiche non coerenti con gli indirizzi di massima.
Qualora venga accertato che le politiche economiche di uno Stato membro non sono coerenti con gli indirizzi predisposti dalla Commissione europea e approvati dal Consiglio oppure rischiano di compromettere il buon funzionamento dell’unione economica e monetaria, la Commissione può indirizzare un avvertimento scritto (= Early Warning) direttamente allo Stato interessato.
La Commissione ha il compito di sorvegliare l’evoluzione del bilancio degli Stati membri per individuarne gli errori più rilevanti; in questo caso, essa invia loro un avvertimento se ritiene che nello Stato in questione esista (o possa determinarsi per il futuro) un notevole disavanzo.
Il Trattato prevede anche delle sanzioni per lo Stato che, nonostante l’intimazione del Consiglio, continui a non adottare misure per ridurre il disavanzo eccessivo (es: pubblicazione prima dell’emissione di obbligazioni o altri titoli da parte dello Stato membro di informazioni specificate dal Consiglio, invito alla Banca europea per gli investimenti a riconsiderare la sua politica di prestiti nei confronti dello Stato membro in questione).
Fra le sanzioni di maggior rilievo, previste dal TFUE, nel caso in cui il deficit non rientri, abbiamo l’obbligo di un deposito infruttifero c/o la UE, il cui importo è stato stabilito dal Patto di stabilità e di crescita. Il problema sta nel cambiare queste regole ma per cambiarle ci vuole la unanimità di tutti gli stati membri. La flessibilità in buona sostanza è solo un pannicello caldo che può allievare la difficoltà ma non risolverla alla radice. Negli ultimi tempi in Europa c’è una maggiore disponibilità a riconsiderare l’impianto dei vincoli del Patto di stabilità e crescita. Questa sembra essere anche la volontà politica dietro la nuova Commissione Europea. Poi c’è il fatto che la Germania è in difficoltà, la crescita è inferiore alle aspettative, anche se probabilmente non ha bisogno di maggiori spazi di bilancio tali da violare le regole fiscali, visto che ultimamente era addirittura in avanzo.
Cerchiamo la flessibilità o il cambio delle regole?
Dobbiamo tutti capire il problema e decidere di conseguenza possibilmente non delegando ad altri ciò che non riusciamo a capire se non impegnandoci un pochino.
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