La povertà si combatte con la crescita economica e il lavoro inclusivo
La lotta all’occupazione povera è uno dei perni del Governo Meloni, che però non intende cedere a scorciatoie difficilmente praticabili e fortemente ideologiche. Come quella del salario minimo
L’Italia non ha mai registrato negli ultimi decenni livelli di occupazione così alti, segno da un lato che è finalmente tornata quella fiducia indispensabile per la crescita, dall’altro che le misure adottate nei primi mesi del Governo Meloni rispecchiano i desiderata del nostro sistema produttivo.
Alla riduzione del cuneo fiscale, al superamento del reddito di cittadinanza, alla riforma fiscale attesa ormai da oltre cinquant’anni, l’esecutivo intende affiancare una lotta al lavoro povero che però, dal nostro punto di vista, va condotta riorientando e ricalibrando un importante messaggio: aiutare le persone significa prima di tutto accompagnarle verso una dimensione occupazionale che le soddisfi e le gratifichi appieno, assicurando gli strumenti per raggiungere una effettiva autonomia economica, anche attraverso specifici percorsi di formazione.
L’unico modo per combattere la povertà è promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile che assicuri la piena occupazione e il lavoro dignitoso per tutti.
C’è invece chi sostiene che per combattere il lavoro povero sia necessaria l’introduzione del salario minimo, un’intromissione di fatto del Parlamento nella regolamentazione dei rapporti di lavoro che rischierebbe invece a mio parere di cristallizzare due convinzioni. La prima, che le parti sociali non sarebbero in grado di garantire la dignità del lavoro obbligando l’intervento della politica; la seconda, che la legge sarebbe più titolata rispetto alla contrattazione privata a tutelare le fasce più deboli nel mondo del lavoro.
La nostra convinzione è che in una Nazione come l’Italia dove il tasso di copertura della contrattazione collettiva è superiore al 90%, la strada da seguire dovrebbe essere quella di rafforzare il nostro “sistema contrattuale” che rimane ancora oggi tra i più avanzati al mondo.
La stessa direttiva europea 2022/2041, che intende garantire ai lavoratori europei condizioni dignitose, non va a definire una soglia europea di salario ma rappresenta una norma che si è posta dichiaratamente l’obiettivo di tendere a una convergenza verso l’alto delle retribuzioni minime, nel totale rispetto di tutte le peculiarità degli stati membri, delle specificità degli ordinamenti interni, favorendo il dialogo tra le parti sociali e promuovendo la contrattazione collettiva, in modo particolare in quelle nazioni dove non raggiunge la copertura del 70%.
Ebbene in Italia la contrattazione collettiva, oltre ad avere un tasso di copertura ben superiore, ha contribuito a definire non meri tariffari ma un vero e proprio sistema di tutele che non ha eguali nel mondo e che comprende ferie, previdenze complementari, sanità integrativa, permessi, tfr, tredicesime, quattordicesime.
Così come non ha eguali nel mondo quella contrattazione di secondo livello che avviene quotidianamente nelle nostre aziende dove le relazioni tra datore di lavoro e dipendenti sono orientate ormai da tempo alla comune ricerca della crescita e del benessere e risultano ben distanti da una sorta di “contrapposizione di classe” che qualcuno strumentalmente si ostina a raccontare.
E questa contrattazione territoriale e di prossimità così virtuosa per lavoratori e imprese abbiamo intenzione di garantire un regime pattizio basato su una fondamentale condivisione su base volontaria.
Possiamo dunque dire, senza timore di smentita, che l’agenda del governo Meloni ha al centro una vera e propria battaglia al lavoro povero che non cederà però a scorciatoie non praticabili e fortemente ideologiche, come quella imbastita dalle opposizione sul salario minimo.
È per questo che abbiamo votato alla Camera una sospensiva di 60 giorni che ci consentirà di avanzare una proposta che non schiacci al ribasso le dinamiche retributive e contestualmente rispetti e valorizzi la contrattazione sindacale.
La fretta di chi vorrebbe introdurre il salario minimo per legge perché evidentemente alla ricerca di nuovi e pericolosi specchietti per le allodole non condizionerà il nostro agire.
Stiamo lavorando a una proposta unitaria, complessiva e non divisa caratterizzata da un ulteriore abbattimento del cuneo fiscale, dalla spinta all’applicazione dei contratti collettivi esistenti e da un profondo monitoraggio per individuare prontamente quelli da rinnovare.
Soluzioni concrete, praticabili che mirano a risolvere i problemi delle fasce più deboli della popolazione per davvero e nel più breve tempo possibile.
Di Silvio Giovine (Membro della Camera dei Deputati – FDI)
Da Confprofessioni
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